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In un recente articolo su Psychoanalytic Quarterly
lei ha indagato su l'esperienza e il ruolo della creatività
sia nello scrittore che nell'analista. Può dirci qualcosa a riguardo?
Certo, volentieri, grazie.
Inizierei con lo scrittore.
Di fatto sia
lo scrittore che l'analista
devono attingere ad aspetti profondi di loro
stessi, devono attingere al loro inconscio,
per arricchire quello che fanno.
Questo è un corredo essenziale per entrambi, lo
scrittore e l'analista. La differenza, ritengo,
è che gli scrittori attingono alla loro
esperienze, le loro fantasie, i loro ricordi,
aspetti differenti delle loro percezioni, delle loro esperienze,
per creare qualcosa di nuovo al di fuori di se stessi,
creano un lavoro di narrativa, un dipinto,
o quant'altro.
Ed in quella creazione usano il loro sé interiore
per proiettare, per rivedere, ed anche per nascondere, aspetti
della loro percezione interna, forze inconsce,
le formazioni di compromesso che esistono dentro di loro.
Così facendo usano la loro conoscenza conscia di forma,
la loro esperienza, il loro talento per creare un lavoro che
risuona con l'inconscio dello spettatore o del lettore.
CoSì facendo hanno anche un'opportunità
di elaborare alcuni dei loro contenuti interni
attraverso la creazione, attraverso i personaggi, attraverso la pittura,
attraverso la poesia. Quindi è un'occasione sia
per rivedere che per nascondere le forze interne.
Talvolta arrivano a soluzioni nuove,
come si può osservare nel cambiamento di genere
di lavoro che fanno nel corso degli anni.
L'analista, d'altro canto, è molto più simile ad un lettore di narrativa;
Qualcuno che ascolta e legge i testi forniti da altri.
Ma perché un'analista lavori bene non è sufficiente solo comprendere cosa
un'altra persona gli sta dicendo, a darne qualche significato teorico;
Ma deve consentire che risuoni profondamente con
il proprio inconscio, per trovare una risonanza
fra paziente ed analista che arricchisca quello che debbono dire.
La loro creazione
è creare un'interpretazione
che consenta al paziente di aprirsi a nuove possibilità e nuove prospettive.
Per loro è necessario usare se stessi
senza mai mascherare le proprie emozioni o creare
una sorta di comprensione artificiale, che li
renderebbe molti più simili allo scrittore,
nascondendo piuttosto che essere capaci di lavorare con se stessi.
L'analista deve tollerare
il proprio sé interiore e permettersi di farne esperienza completa.
Uno scrittore utilizza il proprio sé interiore per creare qualcosa
di nuovo e per mascherare spesso quella che è la propria esperienza.
Quindi c'è una fondamentale similarità ed una
fondamentale differenza fra i due, ritengo.
Lei ha un forte interesse per la scrittura e il linguaggio
e, naturalmente, la psicoanalisi è "la" cura con
il linguaggio, incentrata sul dialogo verbale.
. Cosa pensa delle modalità implicite e non verbali di
comunicazione, sono anch'esse importanti per la psicoanalisi?
Credo siano estremamente importanti e sottoutilizzate.
Credo che uno dei più grandi fatti che c'è stato nel nostro campo in anni
recenti sia la riscoperta della memoria implicita,
quella che ha luogo al di fuori della consapevolezza del soggetto,
ma che si propone e ripropone continuamente sia nelle
relazioni che anche nella situazione analitica.
Essere in grado interpretare e di capire quelle memorie implicite,
permette al paziente di ottenere consapevolezza
di qualcosa che era puramente automatico,
e che tuttavia era spesso fonte di difficoltà interpersonali.
Questo è stato un grande risultato.
Dove, credo, siamo ancora carenti, è la comprensione del mondo non verbale
per come lo si può esperire nella postura, la gestualità, il movimento,
l'espressione facciale.
Coloro che davvero stanno cominciando a comprenderlo meglio sono quelli che lavorano
con i bambini e con le madri, poiché lavorano costantemente col non-verbale
verbale e stanno cominciando a comprendere quel linguaggio.
Ma l'analista medio non ha alcuna formazione in quel tipo di lavoro,
in parte non ha formazione perché non ci sono docenti
che ci abbiano davvero lavorato approfonditamente.
Tutto questo mondo lo si deve scoprire da soli, ma è estremamente importante.
Se nei tempi andati un analista poteva anche solo ascoltare -
qualche volta guardando fuori della finestra o verso il soffitto
senza guardare e osservare il paziente,
consentirsi invece di osservare quanto più possibile
i movimenti, la danza fra analista e paziente,
permette di arricchire il materiale che arriva verbalmente,
attraverso i nostri occhi, attraverso l'osservazione
del mondo non verbale, in un intreccio tra i due.
Mentre uno osserva il paziente, non deve cercare di fissare
qualcosa di specifico ma. Proprio come con le
libere associazione - deve lasciare che i movimenti
giochino/risuonino dentro di sé mescolandosi col verbale,
per raggiungere il materiale mentre lo si comprende.
Sono stato fortunato nell'aver come una dei miei primi supervisori
Annie Reich,
ed Annie Reich ovviamente era una delle mogli di Wilhelm Reich,
che era brillante nello scrivere del corpo
e delle sue tensioni, dei suoi movimenti e così via.
Uno dei primi giorni che ero in supervisione da lei,
mi fece entrare nello studio e notai che la sua sedia
sedia era posta ad un angolo di 45 gradi,
non dietro il lettino, ma quasi di lato al lettino.
Era piuttosto insolito, così glielo chiesi e lei mi rispose “Come si può osservare
altrimenti tutto il corpo, ed i movimenti facciali quanto più possibile?”.
E aggiunse: “Se non si fa così, si perde la metà della comunicazione del paziente”.
Quindi non solo la musica di quello che uno dice, ma anche la danza.
Sì, e si dovrebbe almeno essere consapevoli delle proprie reazioni,
non concentrandocisi sopra, ma essere coscienti di come si fluisce col paziente,
oppure in contrasto col paziente. Talvolta un leggero movimento di
allontanamento dal paziente ti potrebbe rivelare che stai sperimentando
un certo distanziamento dal paziente, ed è molto importante prenderne nota,
laddove potresti non esserne neanche consapevole, perché i movimenti corporei
del paziente e dell'analista precedono il verbale.
Lo sappiamo dalle neuroscienze.
Giusto. Uno dei primi esprimenti, un esperimento
piuttosto casuale, fu fatto da Phillip Deutsch
??- all'inizio degli anni '50, credo.
Quello che fece fu
di prendere un blocco notes e di fare un diagramma
dei movimenti del paziente sul lettino,
e confrontarli con le verbalizzazioni.
Scoprì che
certi movimenti precedevano certi contenuti,
sempre lo stesso contenuto era preceduta dallo stesso movimento,
il movimento veniva sempre prima.
Avresti potuto quasi anticipare cosa stava per succedere dal movimento,
mentre il paziente non ne era consapevole. E l'analista, a sua volta,
si muoveva spesso in risposta a questo. Quindi c'è questa danza
di cui è utile sapere.