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Siamo lì perché ci è stato chiesto dagli Stati Uniti, dall'O.N.U.
per un processo che doveva servire a bonificare l'Afghanistan in quanto luogo supposto di
ospitalità nei confronti di Bin Laden e di chi era stato il mandante dell'attentato
delle Torri Gemelle, l'11 settembre 2001. Questa è la storia, detta in modo molto
banale. Banale perché in realtà piuttosto di dire se ci fosse bisogno di questo, se
in realtà non sia stata un'operazione di immagine. C'è da chiedersi se è stato
considerato che in Afghanistan c'era tutta una tradizione secolare, per certi versi,
ma anche recente per certi altri. Ricordiamo che 20 anni prima c'era stata quella famosa
palude afgana per l'Unione Sovietica, quello che venne definito il Vietnam dell'Urss a
suo tempo. Quindi c'era da considerare una serie di cose. Ma su tutto ha prevalso l'idea
che bisognasse dare una risposta al terrorismo, senza stare a vedere se il terrorismo era
quello lì, se le cose erano chiare o no, se c'era di mezzo l'Arabia Saudita, da sempre
intoccabile per gli interessi petroliferi. Insomma, un gran pasticcio a cui poi sarebbe
seguito il pasticcio iracheno. Per cui i nostri soldati sono andati lì in missione di pace,
almeno ufficialmente. Anche perché la parola guerra non esiste nella nostra Costituzione,
com'è noto.
La risposta al terrorismo, almeno in termini di immagine, di teatro, prendendo ancora per
scena del teatro il mondo, il mondo e quindi anche la rappresentazione mediatica del mondo,
non è uno scherzetto. Non si pensi che quello che dicevo prima sulla descrizione
banale e sul fatto che c'era bisogno da parte degli Stati Uniti di dare una risposta urbi
et orbi all'attentato, non è una cosa solo di facciata. E' tanto di facciata. E' tanto
di immagine che diventa sostanza. Questo deve essere chiaro. Naturalmente come in tutte
le guerre, in qualche modo anche in Afghanistan, c'è dietro una serie di interessi per le
materie prime, lo sfruttamento del territorio. Nel caso dell'Afghanistan credo che il discorso
materie prime sia inferiore a quello che invece viene fatto per l'Iraq. Quanto all'oppio e
alle culture di oppiacee dell'Afghanistan, non mi pare che al momento le cose siano cambiate
più di tanto. E' un discorso complessivo del mercato della droga internazionale, e
non credo che abbia favorito in un modo piuttosto che nell'altro gli Stati Uniti.
Un anno e mezzo fa ho cominciato una collaborazione
per un portale e ho scritto il primo articolo dicendo: sono un soldato, un militare italiano
in forza in Afghanistan. Ho raccontato, facendo chiaramente capire a chiunque volesse leggere
con un po' di attenzione che lo facevo proprio provocatoriamente, la storia mia per cui davanti
allo sportello dell'ufficio di competenza c'era una fila enorme per andare in Afghanistan.
Una fila immensa dovuta alle cifre che si percepiscono se si va in missione, molto superiori
complessivamente a quelle che uno prende se fa il militare in Italia. Parlavo dei volontari,
per modo di dire, di un'agenzia di collocamento bellica. Ormai dopo 10 anni, si è capito
poi quanto è rischioso l'Afghanistan. All'inizio non era stata prospettata come una crociata
questa guerra. Invece è una guerra che gli americani, gli stranieri dal punto di
vista dell'Afghanistan, italiani compresi, non hanno ancora vinto e forse non vinceranno
mai. Questo è il punto di fondo: le guerre si fanno per vincere e per la difesa se uno
viene invaso, attaccato. Oppure ci sono guerre di offesa, in questo caso per ottenere dei
risultati. Quali risultati otterranno se non riescono a vincere e se tutta la popolazione
non è poi così favorevole al fatto che si tolgano di mezzo i talebani? La questione
è molto più complessa di quello che ci hanno raccontato.
Anche questo è un discorso che va rifatto
dall'inizio. La Costituzione italiana, fino a che non verrà cambiato l'articolo che
riguarda la questione, prevede un esercito, prevede il Capo dello Stato che è anche
il capo dell'esercito, ma non prevede un'azione militare di guerra. Prevede azioni di pace,
naturalmente, nel fare delle azioni di pace se uno non offre l'altra guancia, militarmente
ci sono dei rischi. Il problema è che qui fin dall'inizio era un'azione di guerra, non
si va a portare la pace o la democrazia nei paesi così come ci hanno fatto credere.
Non è questo il sistema, la pace e la democrazia sono criteri complessi e conquiste difficili
che non possono essere imposte. Si può governare economicamente un paese, ma politicamente
non gli si può regalare con uno sforzo bellico la democrazia. E in effetti è tutta
da vedere la democrazia in Iraq, ad esempio, dove non mi pare che ci si sia avvicinati
all'obiettivo. Così come in Afghanistan. In termini di morti, di costi, mi pare che
la spesa non valga l'impresa e soprattutto mi pare che l'impresa non sia prevista dalla
nostra Costituzione, questo è il dato di fondo, sembra che questo sia stato dimenticato.
Non è che qui si entra nelle Nazioni Unite e si deve fare quello che le Nazioni Unite
ci impongono. Bisogna mettersi d'accordo entrambe, quindi il discorso ci riporta molto indietro,
se questo è in linea oppure no con la Costituzione: in questo caso o si cambia la Costituzione
oppure si obietta alla Nato che questa cosa l'Italia non la può fare. Mi pare che tutto
questo sia politicamente molto delicato e non è mai stato fatto. Così prima o
poi esplodono le contraddizioni. Le contraddizioni esplodono teoricamente, ma esplodono anche
sottoforma di granate, di bombe etc. in Afghanistan con i morti. Se a tutto questo si aggiunge
la poca chiarezza in tante operazioni belliche e i relativi contrasti nell'interpretazione
tra la politica italiana, a partire dal Ministro competente, e l'esercito, i militari italiani
e i loro graduati, viene fuori un casino.