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Sì, l'Algeria, il Marocco, la Giordania...i paesi arabi moderati retti
da regimi non teocratici, amici dell'Occidente e non pregiudizialmente ostili a Israele.
E' in atto un generale rimescolamento delle carte in un'area strategica del mondo, quella
del petrolio, il cui sbocco finale potrebbe essere devastante.
La protesta popolare ha radici nel malessere
sociale che investe gran parte di quei Paesi e nel dispotismo di quei regimi militari.
Ma dietro, c'è la rete di Al Qaeda collegata con i partiti del fondamentalismo islamico.
Si sta verificando lo stesso scenario dell'immediato post-guerra fredda, inizio anni Novanta: una
corrente integralista islamica preme dalle repubbliche ex sovietiche del centro-Asia,
arriva ai Balcani e al Medio oriente e, da lì, si irradia lungo la fascia nordafricana
e subsahariana. Allora il tentativo di cambiare i rapporti di forza e di radicalizzare lo
scontro non riuscì perché l'America di Clinton era forte; e nonostante tutto era
ancora molto alto il prestigio internazionale dell'Italia, il Paese che per decenni aveva
svolto un ruolo positivo di mediazione in quest'area decisiva per gli equilibri del
mondo.
Perché l'America di Obama è più debole. E il prestigio internazionale dell'Italia
-da quasi ventanni alle prese con conflitti interni che ne hanno sfibrato il sistema politico,
l'economia, il tessuto unitario- è pari allo zero. Il mondo che ci circonda rischia
di saltare in aria, e noi insieme a lui. E' incredibile come il nostro ceto politico e
di governo non si renda conto del rischio che corriamo. Prima ce ne libereremo, facendo
emergere una nuova classe dirigente, e meglio sarà per tutti.
Più che il rischio di una rivoluzione in
Italia, vedo il pericolo di una rottura della nostra unità territoriale, se non saremo
in grado di cambiare questo Paese da cima a fondo.