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Mi trovo a 150 metri di profondità in una miniera illegale del Ghana.
L'aria è pesante per via del calore e della polvere,
ed è difficile respirare.
Riesco a sentire il fruscio di corpi sudati che passano al mio fianco
nell'oscurità, ma non riesco a vedere null'altro.
Sento voci che parlano, ma quella miniera è più di tutto una cacofonia di uomini che tossiscono,
e di pietre scheggiate da strumenti primitivi.
Come tutti gli altri, ho in dotazione una torcia intermittente a basso costo
legata alla mia testa con questa fascia elastica logora
e riesco a malapena a distinguere i rami lisci degli alberi che sostengono le pareti di questa buca larga 1 m²
profonda centinaia di metri nel cuore della terra.
Improvvisamente la mia mano scivola e subito mi ricordo di un minatore
che avevo incontrato alcuni giorni prima e che era caduto innabissandosi per tantissimi metri in quel tunnel.
Mentre oggi sto parlando con tutti voi,
questi uomini sono ancora nella viscere di quella cava
rischiando la loro vita senza alcun tipo di remunerazione o compensazione,
e spesso muoiono.
Ho avuto modo di uscire risalendo quella cavità,
e quindi di tornare a casa,
ma quegli uomini probabilmente non lo faranno mai, perché sono costretti alla schiavitù.
Negli ultimi 28 anni, ho seguito e documentato le culture indigene
in più di 70 Paesi nei sei continenti, e nel 2009 ho avuto il grande onore
di essere l'unica ospite al Summit sulla Pace di Vancouver.
Tra tutte le persone sorprendenti che ho incontrato in quell'occasione,
ho conosciuto un sostenitore della ONG Free the Slaves che si dedica all'eradicazione della schiavitù moderna.
Abbiamo cominciato a parlare di schiavitù e
ho iniziato a scoprire cosa realmente significasse,
ovviamente sapevo che era diffusa in tutto il mondo, esisteva nel mondo,
ma non immagginavo a quel livello.
Dopo aver finito di parlare, mi sentivo così male
e sinceramente imbarazzata per la mia ignoranza
riguardo questa atrocità dei nostri giorni, e ho pensato,
se io non lo so, quante sono le persone che continuano ad esserne all'oscuro?
Ho iniziato a sentire un bruciore allo stomaco, e dopo poche settimane,
mi trovavo su un volo diretta a Los Angeles per incontrare il responsabile di Free the Slaves e offrirgli il mio aiuto.
Così è cominciato il mio viaggio alla scoperta della schiavitù moderna.
Stranamente, ero già stata in molti di quei posti in precedenza.
Alcuni li consideravo come una mia seconda casa.
Ma questa volta, avrei scoperto degli scheletri nascosti nell'armadio.
Una cauta stima dei nostri giorni parla di oltre
27 milioni di persone schiavizzate in tutto il mondo.
Si tratta di un numero pari al doppio delle persone prese dall'Africa durante il commercio transatlantico degli schiavi.
Centocinquanta anni fa, uno schiavo agricolo
costava circa tre volte lo stipendio annuo di un lavoratore americano.
Il che equivale a circa 50.000 dei nostri dollari.
Ancora oggi, intere famiglie vengono schiavizzate per generazioni
per un debito di appena 18 dollari.
Incredibilmente, la schiavitù genera un giro di profitti superiore ai 13 miliardi di $ ogni anno in tutto il mondo.
Molte di queste persone sono state ingannate da false promesse
come una buona istruzione, un lavoro migliore, per poi scoprire
che sarebbero state costrette a lavorare senza retribuzione
sotto la costante minaccia della violenza che non lascia vie d'uscita.
La schiavitù dei nostri giorni riguarda il commercio,
giacché i beni prodotti dalle persone schiavizzate acquistano un valore,
ma gli schiavi che producono i beni continuano ad essere usa e getta.
La schiavitù esiste quasi ovunque nel mondo,
benché sia considerata illegale.
In India e in Nepal, ho visitato le fornaci di mattoni.
Questo strano e impressionante scenario evocava l'antico Egitto o l'Inferno di Dante.
Circondati da temperature che raggiungevano i 130 gradi,
uomini, donne, bambini, intere famiglie,
venivano coperti da una pesante coltre di polvere,
mentre, automaticamente, accatastavano mattoni sulla loro testa,
fino a 18 alla volta, portandoli dai forni roventi a camion distanti centinaia di metri.
Indeboliti dalla monotonia ed estenuati
lavoravano in silenzio, facendo questa operazione più e più volte,
fino a 16 o 17 ore al giorno.
Non avevano pause per il cibo o per l'acqua,
e la grave disidratazione rendeva il bisogno di urinare praticamente inesistente.
Il caldo e la polvere erano così pervasivi
che la mia macchina fotografica era diventata troppo calda anche per essere sfiorata ed ha smesso di funzionare
Ogni 20 minuti, avrei dovuto raggiungere di corsa il nostro cruiser
per pulire la mia attrezzatura e disporla sotto un condizionatore
per farla raffreddare, e come mi sono seduta,
ho pensato: “la mia macchina fotografica riceve un trattamento migliore di quello che queste persone ricevono”.
Di ritorno alle fornaci, avevo voglia di piangere,
ma l'abolizionista al mio fianco mi ha afferrato al volo dicendomi:
"Lisa, non farlo. Almeno, non farlo qui."
E lui mi ha spiegato con chiarezza
che mostrare coinvolgimenti emotivi
può essere molto pericoloso in un posto come questo, non solo per me, ma per loro.
Non avrei potuto offrire loro alcun aiuto.
Non avrei potuto dare loro denaro, nulla.
Non ero una cittadina di quel Paese.
Avrei potuto cacciarli in una situazione ben peggiore di quella in cui già si trovavano.
Avrei dovuto fidarmi del lavoro di Free the Slave nell'ambito del Sistema per la loro liberazione,
ed ero certa che avrebbero fatto il possibile.
Quanto a me, avrei dovuto aspettare di tornare a casa per sentire
il mio cuore andare in frantumi.
In Himalaya, ho incontrato dei bambini
che sollevavano pietre trasportandole per chilometri lungo i terreni scoscesi della montagna
fino ai camion rimorchio che attendevano lungo le strade.
Le grandi lastre di ardesia erano più pesanti
dei bambini che le trasportavano,
che le avevano issate sulle loro *** con
dei fasci di bastoni e fune fatti a mano insieme a degli stralci di stoffa.
E' difficile assistere a qualcosa di così sconvolgente.
Com'è possibile incidere su qualcosa di così insidioso ed ancora così diffuso?
Alcune di queste persone non sanno nemmeno di essere schiavizzate,
lavorano 16, 17 ore al giorno senza alcuna paga,
e lo fanno da tutta una vita.
Non hanno un altro termine di confronto.
Quando gli abitanti di questi villaggi reclamano il loro diritto alla libertà,
i padroni bruciano tutte le loro case.
Quel che voglio dire è che questa gente non possedeva nulla, ed era così pietrificata
a esser pronta alla resa, ma le donne in gruppo hanno deciso di perseverare,
e gli abolizionisti presenti li hanno aiutati ad ottenere un contratto,
di modo che ora continuano a fare lo stesso lavoro massacrante,
ma lo fanno per loro stessi, e vengono pagati per farlo,
e lo fanno liberamente.
Lo sfruttamento sessuale è spesso la prima cosa a cui pensiamo quando sentiamo la parola schiavitù,
e causa di questa consapevolezza generalizzabile,
mi avevano avvertito che avrei trovato delle difficoltà a lavorare all'interno di questo particolare settore.
In Kathmandu, sono stata scortata da donne
che in precedenza erano state delle schiave del sesso.
Mi accompagnarono lungo una stretta scalinata che conduceva a questo seminterrato sporco,
debolmente illuminato e fluorescente.
Di per sé, non era un vero e proprio bordello.
Era più più simile ad un ristorante.
Cabine ristoranti, come si direbbe nel gergo del traffico,
sono i luoghi adibiti alla prostituzione forzata.
Ognuno di essi è dotato di piccole stanze private,
dove le schiave, donne, insieme a giovani ragazze e ragazzi, alcuni dei quali di appena sette anni,
sono costretti a intrattenere i clienti, incoraggiandoli a comprare più cibo e alcol.
Ogni scomparto è buio e sporco,
con un numero identificativo dipinto sulla parete e diviso da una parete di compensato ed una tendina.
Speso le persone che lavorano qui sono costrette a sopportare tragici abusi sessuali per mano dei loro stessi clienti.
Mentre mi trovavo in piedi nell'oscurità, ricordo di aver sentito un passegero momento di calda paura,
e in quel momento, ho potuto solo immaginare cosa avrebbe potuto significare essere intrappolati in quell'inferno.
Avevo solo una via d'uscita: le scalinate dalle quali ero entrata. Non c'erano porte posteriori.
Non c'erano finestre abbastanza larghe per fuggire.
Queste persone non avevano alcuna via di fuga,
e se prendiamo in considerazione una situazione così difficile, è importante notare che la schiavitù,
compreso il traffico sessuale, esiste anche nel nostro cortile di casa.
Decine di centinaia di persone sono schiavizzate nel settore agricolo,
nei ristoranti, nelle nostre stesse case e la lista potrebbe andare avanti.
Recentemente, il New York Times ha riferito che ogni anno, dai 100.000
ai 300.000 bambini americani sono venduti al traffico del sesso.
E' tutto intorno a noi. Semplicemente non lo vediamo.
L'industria tessile è un altro settore a cui spesso pensiamo quando sentiamo parlare di schiavitù.
Ho visitato villaggi in India, dove intere famiglie venivano schiavizzate nel commercio della seta.
Questo è un ritratto di famiglia.
Le mani tinte di nero sono del padre, mentre le mani blue rosse sono dei rispettivi figli.
Mescolano le tinture in queste grandi botti ed immergono la seta nel liquido fino a bagnare i loro gomiti,
ma il colorante è tossico.
L'interprete mi ha raccontato le loro storie.
"Non siamo liberi", hanno detto.
"Speriamo ancora, tuttavia, di lasciare questa casa prima o poi
e di raggiungere qualche altro posto dove verremo realmente pagati per il nostro mestiere".
Si stima che più di 4.000 bambini
siano schiavizzati nella regione del Volta, il più grande lago artificiale al mondo.
Appena arrivati, sono andata a dare un rapido sguardo.
Ho visto quella che mi sembrava essere una famiglia di pescatori su una barca,
due fratelli più grandi, alcuni ragazzi più giovani, sembrava esser giusto, vero?
E invece no. Sbagliato. Erano tutti schiavi.
I bambini vengono sottratti alle loro famiglie, resi ai trafficanti e fatti sparire,
e sono costretti a lavorare ore e ore su queste barche nel lago, anche se non sanno nuotare.
Questo bambino ha otto anni.
Mentre la nostra barca si avvicinava, tremava dallo spavento che la piccola canoa si ribaltasse.
Era pietrificato dall'idea di poter cadere in acqua.
I rami scheletrici degli alberi sommersi nel Lago Volta
spesso si incastrano con le reti da pesca, e stanchi e spaventati i bambini si lanciano in acqua per liberare le fila.
Molti di loro annegano.
Di tutto ciò che riesce a ricordare, è stato costretto a lavorare nel lago.
Terrorizzato dal suo capo, non cercherà mai di scappare,
e dal momento che è sempre stato trattato crudelmente per tutta la sua vita,
traspone quel che ha vissuto sui giovani schiavi di cui è sua volta responsabile.
Ho incontrato questi ragazzi alle cinque del mattino, mentre stavano ritirando le loro reti
ma stavano lavorando già dall'una di una notte fredda e ventosa.
Ed è significativo notare che queste reti equivalgono a più di mille sterline
quando sono piene di pesci.
Voglio farvi conoscere Kofi.
Kofi è stato tratto in salvo da un villaggio di pescatori.
L'ho incontrato in un centro di accoglienza dove Free the Slaves riabilita le vittime di schiavitù.
Qui l'ho visto farsi un bagno nel pozzo, riversando grandi secchi d'acqua sulla sua testa,
e la meravigliosa notizia è che, mentre siamo qui seduti a parlare,
Kofi si è ricongiunto alla sua famiglia,
e ciò che è ancora meglio, la sua famiglia ha ricevuto gli strumenti necessari per vivere
e per tenere al sicuro i loro figli.
Kofi è l'incarnazione di ciò che è possibile fare.
Chi diventerà ora che qualcuno si è messo sulla sua strada cambiando la sua vita?
Stavamo percorrendo una strada del Ghana con i partners di Free the Slaves,
quando un sostenitore abolizionista ha improvvisamente accellerato con la sua moto
raggiungendo la nostra cruiser e battendo sul finestrino.
Ci disse di seguirlo lungo una strada sterrata nella giungla.
Alla fine della strada, ci ha spronato ad uscire dalla macchina chiedendo al conducente di allontanarsi in fretta.
Dopodiché ha indicato un sentiero appena visibile, dicendo:
"Questa è la strada, questa è la strada. Andate."
Inoltrati lungo il sentiero, abbiamo liberato la strada bloccata dai rami,
e dopo circa un'ora di cammino, abbiamo visto che il sentiero era stato allagato dalle recenti piogge,
così ho fissato l'attrezzatura fotografica sulla mia testa
e ci siamo immersi in queste acque fino al petto.
Dopo altre due ore di cammino,
il percorso tortuoso si interrompe bruscamente e nella radura,
davanti a noi, un insieme di buche che avrebbe potuto avere le dimensioni di un campo di calcio,
ed erano tutti pieni di schiavi che lavoravano.
Molte donne avevano i bambini legati alla schiena mentre cercavano oro,
scandagliando l'acqua avvelenata dal mercurio.
Il mercurio è usato nel processo di estrazione dell'oro.
Questi sono gli schiavi di un'altra miniera del Ghana.
Quando uscirono dalla miniera, erano fradici di sudore.
Ricordo di aver guardato i loro occhi stanchi e rossi,
molti di loro erano stati sotto terra per 72 ore.
Queste miniere erano profonde 100 metri
e loro trasportavano delle borse pesanti contenenti le pietre che in seguito sarebbero state portate in un'altra zona,
per essere lavorate in modo da estrarre l'oro.
A prima vista, il luogo in cui si battevano le pietre sembrava pieno di uomini vigorosi,
ma quando ci siamo avvicinati,
ne abbiamo visti altri meno fortunati che lavoravano ai margini e c'erano anche dei bambini.
Tutti loro sono subiscono infortuni, malattie e violenze.
E' infatti molto probabile che un uomo così muscoloso
finisca per diventare come questo qui, distrutto per via della tubercolosi e per l'avvelenamento da mercurio, in soli pochi anni.
Lui è Manuru.
Quando suo padre è morto,
è stato preso dallo zio che lo ha portato con sé a lavorare nelle miniere.
Una volta morto lo zio, Manuro ha ereditato i suoi debiti,
diventando ulteriormente più soggiogato alla schiavitù nelle miniere.
Quando l'ho incontrato, aveva lavorato nelle miniere per 14 anni
e l'infortunio alla gamba che vedete qui è il risultato di un incidente in miniera,
un medico insensibile ha detto che la gamba dovrebbe essere amputata.
In aggiunta, Manuru ha la tubercolosi,
e nonostante questo è ancora costretto a lavorare giorno dopo giorno nel tunnel di quella miniera.
Ancora oggi, sogna di diventare libero
e di acquisire un'educazione con l'aiuto degli attivisti locali come quelli di Free the Slaves,
ed è questa sorta di determinazione,
a fronte di emarginazioni inimmaginabili,
che mi riempie di stupore.
Voglio che si accendano i riflettori sulla schiavitù.
Quando lavoravo sul campo,
ho portato con me molte candele,
e con l'aiuto del mio interprete, ho comunicato alle persone che stavo fotografando
che volevo dar luce alle loro storie e alle loro difficoltà,
così al momento più opportuno per entrambi, ho scattato queste fotografie.
Sapevano che le loro immagini sarebbero state viste in tutto il mondo.
Volevo che sapessero che avremmo testimoniato la loro situazione
e che avremmo fatto tutto il possibile per aiutarli a migliorare la loro esistenza.
Credo fermamente, che se ognuno di noi considerasse l'altro come suo prossimo,
allora diventerebbe davvero molto difficile tollerare atrocità come la schiavitù.
Queste fotografie non sono il punto di discussione.
Ritraggono persone, persone vere, come voi e me,
e meritano uguali diritti, dignità e rispetto nella loro vita.
Non c'è un giorno in cui io non pensi a questi bei volti,
uomini e donne maltrattati che ho avuto il tremendo onore di incontrare.
Spero che queste immagini abbiano risvegliato una forza tra coloro che le hanno viste,
persone come voi, e spero che quella forza possa innescare un fuoco,
e che quel fuoco accenda una luce sulla schiavitù,
poiché senza quella luce, la bestia della schiavitù può continuare a vivere nell'ombra.
Grazie mille.
(Applausi)
sottotitoli a cura di DIANA MARCHIONNI dianamarchionni@hotmail.com