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SILO Presentazioni di libri
Esperienze Guidate
L'Ateneo Madrid – Spagna 3 novembre 1989
Molte grazie all'Ateneo
Molte grazie a Plaza y Janés
...e andiamo al tema
Il 2 maggio del 1916 Ortega,
proprio qui a Madrid e in questo Ateneo, presentò Bergson.
In quell'occasione spiegò come questa società, l'Ateneo,
fosse un'istituzione in cui le idee venivano coltivate ed erano oggetto di culto.
Concordando con quel punto di vista, parleremo qui, nell'Ateneo,
non di letteratura
come sembrerebbe suggerire la natura del libro che presentiamo,
non di racconti o narrazioni,
che pure costituiscono il materiale di questo lavoro,
ma delle idee da cui tali racconti e narrazioni derivano.
Ovviamente non stiamo dicendo che quando si affronta un tema letterario
si debba prescindere dalle idee
ma che in quel caso, generalmente, è il punto di vista estetico a prevalere.
A volte si esamina l'aspetto formale di un'opera oltre che il contenuto.
L'autore scava nel suo vissuto
avvicinandoci così alla sua storia, alla sua sensibilità e alla sua percezione del mondo.
In che senso, allora, qui parleremo di idee?
Lo faremo mettendo in chiaro come questa produzione
sia l'applicazione pratica
di una teoria della coscienza
in cui l'immagine, in quanto fenomeno di rappresentazione,
assume una speciale rilevanza.
E' evidente che prima di entrare in tema dovremo dare numerose spiegazioni,
utili soprattutto a chi non abbia letto il libro che oggi presentiamo,
ma di sicuro questo non nuocerà
alla trasmissione di quella struttura di idee,
di quella teoria cui abbiamo appena fatto riferimento.
Vediamo innanzitutto quali dati introduttivi possono essere forniti su questo lavoro.
Noioso no?
Questo libro
è stato scritto nel lontano 1980
rivisto nel 1988 e sottoposto alla vostra considerazione da pochissimi giorni…
a questo punto vorrei leggervi quel che ne ha scritto il curatore:
"Il libro è diviso in due parti.
La prima, chiamata Narrazioni,
è un insieme di 12 racconti
e costituisce il corpo più denso e complesso.
La seconda, intitolata Giochi di immagini,
consta di nove descrizioni più semplici,
ma anche più agili di quelli della prima parte.
Questi scritti possono essere considerati da diversi punti di vista.
Il più superficiale, risulta trattarsi di una serie di brevi racconti a lieto fine.
Questi hanno il carattere leggero delle bozze
che si realizzano come pratica e solo per 'intrattenimento'
Sulla base di questo approccio, si tratta di semplici esercizi letterari.
Da un'altra prospettiva… un'altra prospettiva,
l'opera si rivela come un insieme di pratiche psicologiche
rivestite di una forma letteraria.
Ciò risulta più chiaro, continua il curatore,
nelle note e nei commenti inserite alla fine del libro.
Conosciamo narrazioni di ogni tipo scritte in prima persona.
IO, in prima persona…
Tale 'prima persona', normalmente, non è quella del lettore, quella del lettore…
bensì quella dell'autore.
In questo libro si corregge una così antica scortesia,
facendo sì che l'ambientazione di ciascun racconto serva da cornice
affinché il lettore riempia la scena con se stesso
e i suoi propri contenuti.
Collaborando con questi esercizi letterari, appaiono nel testo
asterischi che indicano pause
e aiutano a introdurre mentalmente
le immagini che permettono ad un lettore passivo a convertirsi
in attore e coautore delle diverse storie.
Questa originalità permette, a sua volta,
che una persona legga ad alta voce,
per esempio,
evidenziando le pause menzionate, mentre altre, ascoltando
e immaginino il proprio 'nodo' letterario.
Un simile procedimento, che costituisce qui l'aspetto più caratteristico,
in altri testi più convenzionali distruggerebbe la sequenza narrativa.
C'è anche da sottolineare che in genere nelle opere letterarie
il lettore o lo spettatore,
che si tratti di rappresentazioni teatrali, filmiche o televisive,
pur identificarsi, più o meno pienamente, con i personaggi
è in grado di riconoscere, sul momento o successivamente,
la differenza tra l'attore che appare 'incluso' nell'opera
e l'osservatore che resta 'fuori' della produzione
e che altri non è se non lui stesso.
In questo libro succede il contrario:
il personaggio è l'osservatore
che diventa agente e paziente di azioni ed emozioni.
Che queste Esperienze guidate risultino o no di nostro gradimento
- dice il curatore -
dovremo per lo meno riconoscere
di trovarci in presenza di un'operazione letteraria innovativa
e questo, indubbiamente, non capita tutti i giorni."
Così conclude la nota introduttiva.
Come si è già detto, si tratta di piccoli racconti
dove alcuni asterischi permettono di interrompere la sequenza
dando al lettore la possibilità di collocare, proprio in quel punto, l'immagine che gli sembri adeguata.
Così, in questo modo si continua a sviluppare,
ma già dinamizzando il nuovo elemento che vi è stato introdotto.
Vediamo il caso che ci serva da esempio.
Prediamo la prima narrazione intitolata "Il bambino".
"Mi trovo in un luna-park.
E' sera.
Dappertutto vi sono giochi meccanici pieni di luce e movimento…
Però non c'è nessuno.
Poi scorgo accanto a me un ragazzino di una decina d'anni.
Mi volge le spalle.
Mi avvicino
e quando si volta a guardarmi
mi accorgo che sono io stesso quando ero bambino."
Asterisco! eccetera, eccetera.
Cioè interruzione, per introdurre me stesso,
come immagine,
secondo il suggerimento del testo.
La storia prosegue…
"Gli domando che cosa faccia lì
e mi dice qualcosa che ha a che vedere con un'ingiustizia che gli hanno fatto.
Scoppia a piangere ed io lo consolo, promettendogli di portarlo sulle giostre.
Insiste a parlarmi di quell'ingiustizia.
Allora, per riuscire a capirlo,
inizio a ricordare quale fu l'ingiustizia da me subita a quell'età."
Asterisco!
Con quanto detto, risulta chiaro
il meccanismo di lettura delle Esperienze guidate.
D'altra parte, esiste uno schema di strutturale
a cui si rifanno tutti i racconti
All'inizio appare l'entrata nel tema e l'ambientazione generale;
segue un aumento della tensione 'drammatica',
per così dire;
in terzo luogo troviamo la rappresentazione di una situazione esistenziale problematica;
quarto, lo sciogliersi del nodo e la corrispondente soluzione al problema;
quinto, la diminuzione della tensione generale
e sesto,
l'uscita non brusca…, non brusca, dall'esperienza,
generalmente ripercorrendo alcune tappe del racconto toccate in precedenza
Dobbiamo ora aggiungere alcune considerazioni riguardo alla struttura
della cornice che racchiude la situazione,
del contesto dell'esperienza.
Se vogliamo che il lettore
prenda contatto con se stesso
dobbiamo deformare la struttura del tempo e dello spazio
seguendo, su questo punto, l'insegnamento che ci viene dai sogni.
Dobbiamo dare libero corso alla dinamica delle immagini
ed eliminare le razionalizzazioni che ne impediscano un fluido sviluppo.
Se poi riusciremo
a destabilizzare la sensazione del corpo,
la posizione del corpo nello spazio,
saremo in condizioni di far sorgere domande che riguardano
un qualsiasi momento della vita del lettore
o, addirittura, momenti futuri come possibilità di azioni da compiere.
Vediamo un esempio che illustri quanto stiamo esponendo.
Ci serviremo dell'esperienza intitolata "L'azione che salva".
"Percorriamo velocemente una grande strada.
Accanto a me, guida una persona che non ho mai visto prima.
Sui sedili posteriori
due donne e un uomo, anche loro sconosciuti.
L'auto corre circondata da altri veicoli che procedono senza alcuna prudenza,
come se i loro autisti fossero ubriachi o pazzi.
Non sono sicuro se sta facendo giorno e se stia per calare la sera.
Domando al mio compagno che cosa stia succedendo.
Mi guarda furtivamente
e risponde in una strana lingua:
Rex voluntas!
Accendo la radio
che gracchia emettendo forti rumori di interferenze elettriche.
Riesco comunque a sentire una voce debole e metallica
che ripete monotona:
…rex voluntas.
La corsa dei veicoli rallenta
mentre scorgo ai margini della strada
numerose auto ribaltate e un incendio che si sta propagando tra di esse.
Ci fermiamo
abbandoniamo la macchina e corriamo verso i campi
fra un mare di gente che si spinge impaurita.
Guardo indietro
e vedo in mezzo al fumo e alle fiamme
molti poveretti rimasti prigionieri in quella trappola mortale,
però sono costretto a correre da quella valanga umana che mi sospinge trascinandomi via
In questo delirio tento inutilmente
di raggiungere una donna che protegge il suo bambino,
mentre la folla le passa sopra
e molti cadono a terra.
Mentre il disordine e la violenza sono ormai generali,
decido di muovermi leggermente in diagonale,
che mi permetta di separarmi dalla ***.
Punto verso un luogo più in alto.
Molti, prossimi a svenire, mi si attaccano ai vestiti riducendoli a brandelli,
però vedo che la densità della folla diminuisce.
Un uomo si stacca dalla *** e viene di corsa verso di me.
Ha gli abiti stracciati ed è coperto di ferite.
Quando mi raggiunge, mi afferra per un braccio
e, gridando come un pazzo, mi indica in basso.
Non capisco la sua lingua
ma credo che voglia il mio aiuto per salvare qualcuno.
Gli dico di aspettare,
perché in questo momento è impossibile…
So che non mi capisce.
La sua disperazione mi sconvolge.
L'uomo cerca allora di tornare indietro
ma io, lo faccio cadere in avanti.
Rimane a terra, gemendo amaramente.
Comprendo di avergli salvato la vita e anche la coscienza,
perché lui aveva cercato di salvare qualcuno ma glielo avevano impedito.
Salgo un poco più su e arrivo a un campo coltivato.
La terra è molle
e solcata dal recente passaggio di un trattore.
Sento in lontananza colpi di arma da fuoco
e credo di capire cosa stia succedendo.
Mi allontano in fretta da quel luogo.
Dopo un certo tempo mi fermo.
Tutto tace.
Guardo verso la città
e vedo un bagliore sinistro.
Inizio a sentire che la terra oscilla sotto i miei piedi
e un boato che sale dalle profondità
mi avverte dell'imminenza di un terremoto.
Poco dopo perdo l'equilibrio.
Resto a terra raggomitolato su un fianco ma con lo sguardo rivolto verso il cielo,
in preda ad una forte nausea.
Le scosse sono cessate.
In cielo
c'è una luna enorme,
che sembra coperta di sangue.
Fa un caldo insopportabile e respiro un'aria acre.
Intanto continuo a non capire se stia iniziando il giorno o calando la sera…
Mi metto seduto e sento un rimbombo crescente.
Subito dopo, oscurando il cielo,
passano centinaia di aerei, simili a insetti mortiferi, che si perdono
verso un ignoto destino.
Scorgo accanto a me un grosso cane che, guardando la luna, si mette a ululare
alla maniera di un lupo.
Lo chiamo.
L'animale si avvicina timidamente.
Mi viene accanto.
Gli accarezzo a lungo il pelo irto.
Noto che il suo corpo è scosso da un tremore intermittente.
Il cane si scosta da me e si allontana.
Mi alzo in piedi e lo seguo.
Percorriamo così un tratto
sassoso fino ad arrivare a un ruscello
L'animale, assetato, si lancia in avanti e comincia a bere con avidità,
ma di lì a poco indietreggia e cade.
Mi avvicino, lo tocco e mi accorgo che è morto.
Sento un nuovo movimento sismico che minaccia di travolgermi, ma passa.
Mi giro e vedo nel cielo, in lontananza,
quattro formazioni di nubi che avanzano con un sordo rimbombare di tuoni.
La prima è bianca,
la seconda è rossa,
la terza nera e la quarta gialla.
E queste nubi somigliano a quattro cavalieri armati
che, montati su cavalcature di tempesta,
percorrono i cieli distruggendo ogni segno di vita sulla terra.
Corro nel tentativo di sfuggire alle nubi.
Mi rendo conto che se la pioggia mi raggiungerà rimarrò contaminato.
Continuo a correre ma, all'improvviso, si erge davanti a me una figura colossale.
E' un gigante che mi sbarra la via
agitando minaccioso una spada di fuoco.
Gli grido che devo andare avanti perché le nubi radioattive si stanno avvicinando.
Risponde che è un robot
messo lì per impedire il passaggio alle persone distruttive.
Aggiunge che è armato di raggi
e mi intima di non avvicinarmi.
Vedo che il colosso separa nettamente due spazi:
quello da cui provengo, sassoso e morente,
da un altro pieno di vegetazione e di vita.
Allora grido: 'Devi farmi passare
perché ho fatto una buona azione!'
Che cos'è una buona azione?' - domanda il robot.
E' un'azione che costruisce,
che collabora con la vita' - rispondo.
E dunque' - soggiunge - 'che hai fatto di buono?'
Ho salvato un essere umano da morte sicura e, per di più,
ho salvato la sua coscienza'.
Subito il gigante si fa da parte
e io salto su quel terreno protetto, proprio mentre cominciano a cadere le prime gocce di pioggia…"
Questo il racconto.
In una nota appare il seguente commento:
"L'effetto straniante dell'argomento è stato ottenuto dando risalto
all'indefinitezza del tempo, parentesi:
'Non sono sicuro se stia facendo giorno o se stia per calare la sera';
confrontando spazi, parentesi:
'Vedo che il colosso separa nettamente due spazi:
quello da cui provengo, sassoso e morente,
da un altro pieno di vegetazione e di vita;
tagliando la possibilità di connessione con altre persone
o creando una babelica confusione di lingue, parentesi:
'Domando al mio compagno che cosa stia succedendo.
Mi guarda furtivamente e risponde in una strana lingua: Rex voluntas'.
Infine, lasciando il protagonista in balia di forze incontrollabili:
caldo, terremoti, strani fenomeni astronomici,
acque e atmosfera contaminata, clima di guerra, gigante armato, ecc.".
Il corpo del soggetto è destabilizzato più e più volte:
spintoni,
spostamenti su un terreno morbido appena arato,
cadute provocate dal sisma.
Si capisce la meccanica?
In molte esperienze
si ripete lo schema di ambientazione descritto,
utilizzando però immagini diverse
e ponendo in risalto il particolare nodo che si intende trattare.
Per esempio,
nell'esperienza chiamata "Il grande errore"
tutto ruota intorno ad una specie di malinteso,
il malinteso viene affrontato utilizzando la confusione delle prospettive.
In questo caso, poiché si tratta
di trasformare un fatto passato,
un fatto della nostra vita
che vorremmo si fosse svolto in un altro modo,
dobbiamo indurre alterazioni temporali e spaziali
che dopo
aver modificato la nostra percezione dei fenomeni, in effetti,
arrivino a modificare l'ottica,
la prospettiva con cui guardiamo al nostro passato
Così, è possibile non già trasformare i fatti accaduti,
bensì il punto di vista su di essi
nel qual caso
l'integrazione di tali contenuti cambia considerevolmente.
Vediamo una parte di questo racconto.
"Sono in piedi davanti a una specie di tribunale.
La sala, gremita di gente,
è immersa nel silenzio.
Vedo dovunque volti severi.
Rompendo la tremenda tensione che si è accumulata tra i presenti,
il Segretario,
aggiustandosi gli occhiali,
prende un foglio di carta e annuncia solennemente:
'Questo tribunale condanna l'imputato alla pena di morte.'
Subito si leva uno schiamazzo.
C'è chi applaude, chi disapprova.
Riesco a vedere una donna che cade svenuta.
Poi un funzionario riesce a imporre il silenzio.
Il Segretario mi fissa torvo,
mentre mi domanda:
'Ha qualcosa da dire?'
Gli rispondo di sì.
Allora tutti si rimettono a sedere.
Subito chiedo un bicchiere d'acqua
e passata una certa agitazione nella sala,
qualcuno me lo porge.
Lo porto alle labbra e bevo un sorso.
Concludo l'azione con un sonoro e prolungato gargarismo.
Poi dico: 'Ecco fatto!'
Uno del tribunale mi redarguisce aspramente:
'Come, ecco fatto?'
Gli rispondo che è così, ecco fatto.
In ogni modo, per farlo contento,
gli dico che l'acqua del luogo è molto buona,
chi lo avrebbe mai detto,
e due o tre cosette gentili…
Il Segretario finisce di leggere il foglio di carta con queste parole:
'…di conseguenza,
la sentenza verrà eseguita oggi stesso,
lasciandolo in pieno deserto senza cibo né acqua.
Soprattutto senza acqua.
Ho detto!'
Replico con forza: 'Come sarebbe a dire, ho detto?'
Inarcando le sopracciglia il Segretario afferma:
'Quello che ho detto, ho detto!'.
Di lì a poco
mi ritrovo nel deserto
su un mezzo di trasporto scortato da due pompieri.
Ci fermiamo e uno di loro mi dice: 'Scenda!'.
Allora scendo.
Il mezzo gira e ritorna da dove era venuto.
Lo vedo rimpicciolirsi sempre più, a mano a mano che si allontana tra le dune".
Bene, nel racconto ci sono poi alcuni incidenti
e, finalmente, accade questo:
"La tempesta è passata, il sole è tramontato.
Nel crepuscolo scorgo davanti a me una semisfera biancastra
grande come un edificio di vari piani.
Penso che si tratti di un miraggio.
Nonostante questo mi alzo e mi dirigo da quella parte.
A brevissima distanza mi accorgo che la struttura è fatta di un materiale chiaro,
come plastica rilucente,
forse piena di aria compressa.
Mi riceve un tale vestito secondo l'usanza beduina.
Entriamo in un tubo rivestito di tappeti.
Scorre un pannello metallico e subito mi investe l'aria fresca.
Siamo all'interno della struttura.
Osservo che tutto è alla rovescia.
Si direbbe che il soffitto sia un pavimento piano dal quale pendono diversi oggetti:
Tavoli rotondi con le zampe all'aria;
acqua che cadendo in zampilli, si ricurva e risale
e forme umane sedute in alto.
Accorgendosi del mio stupore il beduino mi porge un paio di occhiali e mi dice: 'Se li metta!'
Obbedisco e si ristabilisce la normalità.
Di fronte a me vedo una grande fontana che emette getti d'acqua verticali.
Ci sono dei tavoli e vari oggetti squisitamente combinati nei colori e nelle forme.
Il Segretario mi si accosta camminando a quattro zampe.
Dice di sentirsi orribilmente male di stomaco.
Allora gli spiego che sta vedendo la realtà al rovescio
e che deve togliersi gli occhiali.
Se li toglie, si alza in piedi sospirando e dice:
'Ora tutto è a posto, solo che ho la vista corta'.
Poi aggiunge che mi stava cercando
per spiegarmi che non sono la persona che doveva essere giudicata,
che c'è stata una deplorevole confusione.
Quindi, tutto a un tratto, esce da una porta laterale.
Faccio alcuni passi e vengo a trovarmi con un gruppo di persone sedute in cerchio su grossi cuscini.
Sono anziani di ambo i sessi
con caratteristiche razziali e indumenti diversi.
Hanno tutti dei bei visi.
Ogni volta che uno di loro apre la bocca
ne escono suoni
che sembrano ingranaggi lontani
di macchine gigantesche,
di immensi orologi.
Ma posso anche sentire il rombo di tuoni intermittenti,
lo scricchiolio dei massi,
il distacco dei blocchi di ghiaccio,
il ritmico ruggito dei vulcani,
il breve impatto della pioggia gentile,
il sordo agitarsi dei cuori;
il motore, il muscolo, la vita…
tutto questo armonizzato e perfetto,
come un'orchestra di magistrale talento.
Il beduino mi porge degli auricolari dicendo: 'Se li metta, c'è la traduzione'.
Me li metto e sento con chiarezza una voce umana.
Mi rendo conto che si tratta della stessa sinfonia degli anziani
tradotta per il mio maldestro udito.
Adesso, mentre lui apre la bocca io posso ascoltare:
'… siamo le ore,
siamo i minuti,
siamo i secondi,
siamo le diverse forme del tempo.
Poiché con te è stato commesso un errore ti daremo l'opportunità di ricominciare la tua vita.
Da dove vuoi ricominciarla?
Forse dal momento della nascita…
forse da un istante prima del tuo primo fallimento'
Asterisco! eccetera, eccetera.
A questo punto dobbiamo fare alcune considerazioni riguardo al tipo di immagini usate,
poiché si potrebbe essere indotti a credere
che le descrizioni si basino soprattutto sulla componente visiva
quando è noto che buona parte della popolazione
abitualmente si rifà ad un tipo di rappresentazione che è auditiva,
cinestesica o cenestesica, o in ogni caso mista.
A questo proposito vorrei leggere alcuni paragrafi tratti da una parte delle mie opere più recenti,
il libro Psicologia dell'immagine.
Lì si dice:
"Gli psicologi di tutti i tempi
hanno elaborato lunghe liste sulle sensazioni e sulle percezioni
e, al giorno d'oggi, con la scoperta di nuovi recettori nervosi,
si è iniziato a parlare di termorecettori, barocettori, recettori dell'acidità e dell'alcalinità interna, ecc.
Al novero delle sensazioni corrispondenti ai sensi esterni
noi aggiungiamo le sensazioni che corrispondono ai sensi diffusi, come le cinestesiche,
movimento e posizione corporea, cinestesiche
e le cenestesiche
vissuto generale dell'intracorpo, della temperatura, del dolore, ecc.,
che, seppur spiegate in termini di sensi tattili interni, non possono essere ridotte ad essi.
Per il nostro livello di spiegazione sono sufficienti questi brevi cenni
senza per questo pretendere di esaurire
il tema dei possibili vissuti relativi ai sensi interni
e alle molteplici combinazioni percettive tra gli uni e gli altri.
Ci interessa, piuttosto, stabilire una parallelismo tra
rappresentazioni e percezioni,
classificate in modo generico come 'interne' e 'esterne'.
Sfortunatamente la rappresentazione è stata molto spesso limitata
alle sole immagini visive, e allo stesso modo,
la spazialità
è stata quasi sempre riferita alla visione
quando invece anche le percezioni e le rappresentazioni uditive
indicano la sorgente dello stimolo
localizzata in qualche 'luogo',
lo stesso vale per quelle tattili, olfattive, gustative e, ovviamente,
per quelle che si riferiscono alla posizione del corpo e ai fenomeni dell'intracorpo.
Già nel 1943 si era osservo in laboratorio
che vari individui propendevano a formulare…
o meglio, a stabilire tipi di immagini non visive.
Questo consentì a G.Walter nel 1967
di formulare una classificazione di tipi immaginativi a diversa predominanza.
Indipendentemente dalla validità di un simile approccio,
cominciò a farsi strada tra gli psicologi l'idea
che il riconoscimento del proprio corpo nello spazio,
o il ricordo di un oggetto,
molte volte non aveva come base l'immagine visiva.
Inoltre
si cominciò a considerare con più serietà
il caso di soggetti perfettamente normali
che descrivevano la loro 'cecità'
rispetto alla rappresentazione visiva.
Non si trattava più, a partire da queste prove,
di considerare le immagini visive come il nucleo del sistema di rappresentazione,
gettando le altre forme immaginative nella spazzatura della 'disintegrazione eidetica'
o nel campo della letteratura
dove a idioti ed a ritardati mentali dicono cose
simili a quelle dette da uno dei personaggi de L'Urlo e la Furia di Faulkner.
Dice cose come questa:
"Non potevo vederla con gli occhi ma la vedevo con le mani
e potevo udire la notte che sopraggiungeva
e le mie mani vedevano la ciabatta,
ma non potevo vederla,
però le mie mani potevano vedere la ciabatta,
mi accoccolai, ascoltando calare le tenebre."
Se andiamo avanti nel nostro studio sulle Esperienze guidate, arriveremo alla conclusione
che nonostante presentino una predominanza visiva,
esse si adattano a qualunque sistema di rappresentazione.
D'altra parte,
non mancano quelle in cui si lavora chiaramente utilizzando un altro tipo di immagine…, un altro tipo di immagine.
E' questo il caso de "L'animale", del quale ora leggerò qualche brano.
Senza immagini visive…
"Mi trovo in un luogo completamente buio.
Tastando con il piede, sento il terreno quasi di vegetazione.
So che da qualche parte c'è un precipizio.
Percepisco la stretta vicinanza di quell'animale
che mi ha sempre provocato un'inconfondibile sensazione di ribrezzo e di terrore.
Forse un animale soltanto, forse molti…
quel che è certo è che qualcosa si sta avvicinando inesorabilmente.
Un ronzio negli orecchi, a volte confuso con un vento lontano,
contrasta con il silenzio totale.
I miei occhi spalancati non vedono,
il mio cuore batte convulsamente
e, mentre il respiro è sottile come un filo,
un sapore amaro mi chiude la gola…
Qualcosa si avvicina…
Ma cos'è c'è dietro di me che mi fa rizzare i capelli e mi gela la schiena come un blocco di ghiaccio?
Le gambe mi tremano
e se quel qualcosa mi assale o mi lambisce con il suo respiro,
o mi salta sulle spalle
non avrò alcuna difesa.
Rimango immobile… aspetto soltanto."
Vediamo un altro caso,
in cui siano presenti diversi tipi di immagini
ed il passaggio da un sistema di rappresentazione ad un altro.
Qui può esserci utile una parte una parte dell'esperienza chiamata "Il festival".
Sistemi di traduzioni di immagini
e di trasformazione da un sistema di rappresentazione ad un altro.
"Disteso su un letto, mi sembra di essere un una stanza d'ospedale.
Sento appena il gocciolio di un rubinetto chiuso male.
Provo a muovere le membra e la testa, ma non mi rispondono.
A fatica riesco a tenere gli occhi aperti.
Il soffitto è bianco e liscio.
Ogni goccia d'acqua che sento cadere
scintilla sulla sua superficie
come uno schizzo di luce.
Una goccia, una riga.
Poi un'altra.
E poi molte linee.
Quindi, ondulazioni.
Il soffitto si va trasformando, seguendo il ritmo del mio cuore.
Può darsi che sia un effetto delle arterie dei miei occhi,
prodotto dal pulsare del sangue.
Il ritmo disegna il volto di una persona giovane".
E più avanti,
in questa stessa esperienza,
si va oltre la percezione visiva
che viene inclusa in un sistema di rappresentazioni più complesse
nel quale appaiono altre percezioni e, pertanto, altre rappresentazioni.
Dice così…
"Concentro l'attenzione su un fiore,
attaccato al suo ramo
da un sottile stelo di pellicola trasparente
al cui interno si fa più intenso il verde rilucente.
Allungo la mano, sfiorando delicatamente con un dito lo stelo lucente e fresco,
appena interrotto da piccolissimi rigonfiamenti.
Cos', salendo tra foglie di smeraldo,
raggiungo i petali che si aprono in un'esplosione multicolore.
Petali come vetrate di una solenne cattedrale,
petali come rubini
e come fuochi di legna destatisi in alta fiammata…
E in questa danza di tonalità cromatiche
sento i fiore vivere come fosse parte di me.
E il fiore, mosso dal mio contatto,
lascia cadere una goccia di rugiada sonnolenta, appesa appena all'ultimo petalo.
L'ovale della goccia vibra, poi si allunga
e oramai nel vuoto, si appiattisce per poi arrotondarsi di nuovo,
cadendo in un tempo senza fine.
Cadendo, cadendo nello spazio senza limite…
Alla fine,
urtando contro il cappello di un fungo, vi rotola sopra
come pesante mercurio, per scivolare fino al bordo.
Lì, in uno spasimo di libertà,
si lancia verso una piccola pozza in cui solleva onde burrascose
che bagnano un'isola di marmo.
Lì davanti si sta svolgendo il festival
e io so che la musica
mi mette in comunicazione con quella ragazza che si guarda il vestito
e con un giovane che, accarezzando un gatto azzurro, si appoggia all'albero.
So di aver vissuto in precedenza la stessa cosa
e di aver captato la sagoma rugosa dell'albero
e le differenze di volume dei corpi.
Nelle farfalle di velluto che mi volano intorno
riconosco la qualità delle labbra,
la fragilità dei sogni felici."
Eccetera, eccetera…
Nelle esperienze, però,
le immagini non si collocano solamente
nello spazio che il soggetto ha davanti o intorno,
ma anche al suo interno.
Si complica, si complica…
Sarà qui opportuno riconoscere
che in determinati sogni, in determinati sogni…
il dormiente vede se stesso in scena fra altri oggetti,
vale a dire, il suo sguardo è "esterno".
Ma a volte succede anche che colui che sogna
veda la scena con i suoi propri occhi,
quasi fosse in stato di veglia.
Il suo sguardo diventa interno.
Nella rappresentazione quotidiana, quella che possiamo sperimentare ora,
vediamo le cose esterne come "esterne",
ossia il nostro sguardo si colloca "dietro",
è dietro un limite cenestesico-tattile.
che è dato dalla sensazione dei propri occhi, del viso e della testa.
Ora chiudo gli occhi
e rappresento un oggetto che ho appena visto.
Nondimeno lo esperisco come fosse "fuori"
benché lo stia guardando, non da fori come nella percezione,
ma da "dentro" il mio spazio di rappresentazione.
Ad ogni modo, l mio sguardo è separato dall'oggetto:
vedo l'oggetto fuori di me nonostante lo rappresenti, per così dire, "dentro la mia testa".
Quando, nell'esperienza de "Il bambino",
vedo me stesso da piccolo,
vedo me stesso da piccolo,
in realtà vedo il bambino
a partire dal mio vissuto attuale nel quale mi riconosco.
Il altre parola, vedo il bambino fuori di me,
con il mio attuale sguardo interno.
Orbene, il bambino, che sono io prima,
mi parla adesso di un'ingiustizia che gli fu fatta;
e, per sapere di che si tratta,
faccio uno sforzo per ricordare,
il mio io attuale e non il bambino che vedo,
quello che mi è successo quando ero un bambino
il-bambino-che-sono-io-prima.
Al farlo, il mio sguardo va "dentro" di me,
ai miei propri ricordi,
ed il bambino che vedo sta fuori rispetto alla direzione dei miei ricordi.
Ma quando incontro me stesso in una scena infantile,
grazie a che cosa mi riconosco veramente come io-stesso?
Senza dubbio grazie ad uno sguardo esterno a me,
ma interno con riferimento all'esterno,
in questo caso, il bambino del luna park.
Tutto ciò pone interessanti quesiti;
ma per appianare il tema, diciamo che, in generale,
si può parlare di rappresentazioni che sembrano collocarsi "fuori"
e di altre che sembrano collocarsi "dentro",
ricordando che il "fuori" e il "dentro"
li stiamo semplicemente considerando
a partire dalla differenza che pone il limite cenestesico-tattile degli occhi, del viso e della testa.
Una volta compreso questo, vediamo alcuni esempi con differenze
nelle collocazioni degli sguardi e delle scene.
E' diventato pesante…,
bene!
Nell'esperienza chiamata "Lo spazzacamino", si dice:
"Passato un certo tempo, lo spazzacamino si alza
e prende un oggetto lungo, leggermente curvo.
Si ferma davanti a me e dice: 'Apra la bocca!'
Io obbedisco.
Poi sento che introduce in me una specie di lunga pinza che mi arriva fino allo stomaco.
Tuttavia, mi accorgo che riesco a sopportarla…
Tutt'a un tratto, grida: 'L'ho preso!'
e comincia a estrarre l'oggetto, poco alla volta.
All'inizio mi pare di sentirmi strappare qualcosa,
ma poi sento prodursi in me una sensazione piacevole,
come se dalle viscere e dai polmoni
si andasse staccando un qualcosa che vi aderiva in maniera maligna da molto tempo."
Chiuse virgolette…
Qui è chiaro che stiamo operando con vissuti cenestesici,
cioè immagini dell'intracorpo;
ma quando ciò che viene immaginato "fuori",
come ciò che viene percepito "fuori" nella vita quotidiana,
produce conseguenze nell'intracorpo,
il tipo di modificazioni della scena e dello sguardo
hanno lo stesso meccanismo che abbiamo osservato nel racconto del bambino,
con la differenza che quanto viene immaginato "fuori"
non è come il bambino,
visivamente considerato
ma che "fuori" colloco una specie di sensazione cenestesica,
non in quanto io senta qualcosa al mio interno
e quel sentire ora si trovi fuori del mio corpo,
ma in quanto ciò che sento al mio interno
è esterno al mio sguardo,
o a una nuova sensazione cenestesica che diventi ancora più interna.
Senza questo meccanismo di cambio della posizione e prospettiva dello sguardo e della scena,
numerosi fenomeni della vita quotidiana non sarebbero possibili.
Come potrebbe essere possibile che un oggetto esterno…,
come potrebbe un oggetto esterno generare ripugnanza in me
per il solo fatto di guardarlo?
Come potrei "sentire" orrore per una ferita inferta nella carne di un altro?
Come potrei sentirmi solidale con il dolore umano
e con la sofferenza o il piacere altrui?
Esaminiamo alcuni brani dell'esperienza conosciuta come "La coppia ideale".
"Camminando in uno spazio aperto,
destinato a esposizioni industriali, vedo capannoni e macchinari.
Ci sono molti bambini ai quali sono destinati giocattoli meccanici di alta tecnologia.
Mi avvicino a un gigante fatto di materiale solido.
Sta in piedi.
Ha una grossa testa dipinta a colori vivaci.
Una scala arriva fino alla sua bocca.
Sulla scala si arrampicano i piccoli
fino all'enorme cavità e, quando uno entra, questa si chiude dolcemente.
Di lì a poco il bambino viene espulso dalla parte posteriore del gigante
e scivola lungo un ottovolante che termina sulla sabbia.
A uno a uno entrano ed escono,
accompagnati dalla musica che sgorga dal gigante:
'Gargantua inghiotte i bambini con molta cautela senza fargli male,
eheheh, eheheh,
con molta cautela senza fargli male'.
Mi decido a salire per la scala ed entrando nell'enorme bocca
trovo un portiere che mi dice:
'I bambini scendono con l'ottovolante e i grandi con l'ascensore'.
L'uomo continua a dare spiegazioni mentre scendiamo lungo un tubo trasparente.
A un certo punto gli dico che dovremmo già essere a livello del suolo.
Lui risponde che siamo appena nell'esofago,
perché il resto del corpo si trova sottoterra,
a differenza del gigante infantile che è tutto in superficie.
Sì, ci sono due Gargantua in uno, mi informa,
quello dei bambini e quello dei grandi…
Abbiamo già passato il diaframma, presto arriveremo in un luogo molto simpatico.
Guardi, ora che si apre la porta del nostro ascensore, ci si presenta lo stomaco…
vuole scendere qui?
Come vede è un ristorante moderno, dove vengono serviti piatti da ogni parte del mondo.'
Il tema delle immagini "esterne"
che agiscono sulla rappresentazione interna
trova migliore espressione nell'esperienza de "Il minatore".
Sentiamo, virgolette: "Grido con tutte le mie forze e il terreno cede trascinandomi nello smottamento…
Un forte strattone alla cintura
coincide con il repentino arresto della caduta.
Rimango appeso alla corda come un assurdo pendolo di fango.
La mia corsa si è fermata vicinissimo a un pavimento ricoperto da un tappeto.
Vedo adesso, in quell'ambiente illuminato,
un'elegante sala in cui distinguo una specie di laboratorio
ed enormi librerie.
Ma l'urgenza della situazione
mi spinge a cercare una soluzione.
Con la mano sinistra sistemo la corda tesa e con l'altra apro la fibbia
che la tiene fissata alla mia cintura.
Quindi cado dolcemente sul tappeto.
'Che maniere amico!... Che maniere',
dice una voce flautata.
Mi volto e resto di sasso.
Ho davanti a me un omuncolo alto, si e no, sessanta centimentri.
A parte le orecchie leggermente puntute,
si direbbe molto ben proporzionato.
E' vestito a vivaci colori,
ma con un inconfondibile stile da minatore.
Mi sento tra il ridicolo e il desolato quando mi offre un drink.
In ogni modo mi faccio animo e lo bevo senza battere ciglio.
L'omuncolo giunge le mani
e le porta alla bocca a mo' di megafono.
Quindi emette un suono burlone.
Gli chiedo cosa significhi una burla del genere e risponde che, grazie ad essa,
in futuro la mia digestione migliorerà.
Il tipo continua dicendo che la corda stretta alla vita e all'addome durante la caduta ha fatto un ottimo lavoro.
Per concludere il suo strano discorso, mi chiede
se per me ha senso la frase:
'Lei si trova nelle viscere della terra'.
Rispondo che è un modo figurato di dire le cose,
ma l'altro replica che in questo caso si tratta di una grande verità.
E poi aggiunge: 'Lei si trova nelle sue stesse viscere.
Quando qualcosa va male nelle viscere, la gente pensa cose fuorvianti.
A loro volta, i pensieri negativi pregiudicano le viscere.
Cosicché, d'ora in avanti, lei starà attento.
Se non lo farà, mi metterò a camminare
e lei sentirà un gran solletico
e ogni genere di disturbi interni…
Ho colleghi che si occupano di altre parti, come i polmoni, il cuore, eccetera'.
Ciò detto, l'omuncolo prende a camminare sulle pareti e sul soffitto,
mentre io avverto
tensioni nella regione addominale, al fegato e ai reni.
Poi, con una pompa d'oro mi getta addosso dell'acqua, ripulendomi scrupolosamente dal fango.
Sono subito asciutto.
Mi sdraio su un ampio divano e comincio a rilassarmi.
L'omuncolo passa ritmicamente una spazzolina sul mio addome e sulla vita,
producendomi un notevole senso di distensione in quelle zone.
Mi rendo conto che con l'alleviarsi dei malesseri allo stomaco, al fegato e ai reni
mutano le mie idee e i miei sentimenti.
Percepisco una vibrazione.
Avverto che mi sto sollevando.
Sono sul montacarichi che risale verso la superficie della terra, verso il mondo esterno".
In questa esperienza,
l'omino risulta essere un vero esperto nella teoria dell'immagine cenestesica.
Purtroppo non ci ha spiegato
come un'immagine possa entrare in connessione con l'intracorpo ed agire su di esso.
Abbiamo appena visto, pur con qualche difficoltà,
come la percezione degli oggetti esterni
serva da base all'elaborazione dell'immagine
e come questa ci permetta di presentare nuovamente ciò che si era precedentemente presentato ai sensi.
Abbiamo visto come nella rappresentazione si producano variazioni nella collocazione,
nella prospettiva dello "sguardo" dell'osservatore
rispetto a una data scena
ci siamo anche interrogati
sulla connessione
fra la percezione di un oggetto sgradevole
e le nostre reazioni interne.
Ora stiamo discutendo
delle sensazioni dell'intracorpo
che servono da base a rappresentazioni anch'esse "interne".
Dunque ci troviamo pieni di domande per le quali non abbiamo risposte esaurienti
ed ho il timore che il nostro discorso dovrà rimanere incompleto.
Vorrei, ad ogni modo, aggiungere alcune considerazioni.
Finché si continuerà a considerare l'immagine
come una semplice copia della percezione,
finché si continuerà a credere che la coscienza in generale
abbia un atteggiamento passivo nei confronti del mondo
e risponda ad esso per riflesso,
non potremo rispondere né alle domande precedenti
né ad altre, in verità fondamentali.
Per noi l'immagine
è un modo attivo di porsi, da parte della coscienza, come struttura, nel-mondo.
Essa può agire sul corpo
e sul corpo nel-mondo,
grazie all'intenzionalità che si dirige al di fuori di sé
e che non risponde semplicemente ad un per sé
o ad un in sé naturale,
riflesso e meccanico.
L'immagine agisce in una struttura spazio-temporale
e in una "spazialità" che chiamiamo "spazio di rappresentazione".
Le diverse e complesse funzioni espletate dall'immagine dipendono, in generale,
dalla posizione che essa assume in tale spazialità.
La piena giustificazione di quanto stiamo affermando
esige la comprensione della nostra teoria della coscienza
per la quale rimandiamo al nostro lavoro Psicologia dell'immagine.
Però se, attraverso questi "divertimenti letterari",
come li chiama il nostro curatore,
se attraverso queste narrazioni o racconti,
siamo riusciti a mostrare
le applicazioni pratiche di una concezione più ampia,
allora non siamo venuti meno alla promessa, fatta all'inizio della nostra spiegazione,
che ci saremmo occupati di questo scritto,
di queste Esperienze Guidate,
non dal punto di vista letterario,
ma da quello delle idee che danno luogo a questa espressione letteraria.
Questo è tutto, molte grazie.