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Il cuore in mano è un titolo che abbiamo scelto perché si ricollega direttamente alla
tradizione di Milano, è una classica espressione di Milano con la quale la città esprimeva
la sua capacità di essere sensibile e accogliente e in fondo questo libro vuole essere lo sforzo
di insegnare, o meglio, di richiamare la città a questa sua capacità, questa capacità di
pensare su sé stessa, di riflettere su sé stessa, di meditare, di cogliere quelli che
sono i veri problemi della città, di superare un certo centripetismo, per cui tutto sembra
ruotare intorno a un piccolissimo pezzo di città che è quello rinchiuso nella cerchia
dei Navigli, senza considerare che ormai Milano non è più quella cosa, non è più la Milano
borghese di una volta, ma è una città composita, frastagliata, frammentata che ha tracce di
vitalità ormai praticamente in ogni strada e in ogni angolo.
Spesso noi di questa vitalità non conosciamo e non capiamo e non cogliamo tutta la ricchezza,
proprio in qua vitalità viceversa sta la grande prospettiva e la grande potenzialità
della nostra città, il libro vuole essere un invito a riscoprire questa vitalità, per
superare questo clima di frustrazione che spesso domina proprio il centro storico e
dimostrare che Milano non sta affatto così male come spesso la dipingiamo o ne leggiamo
sui giornali o in molti libri. Quindi Il cuore in mano vuole dire riprendiamoci
la città con amore, con entusiasmo, con passione e anche con un pizzico di orgoglio perché
questa città possa essere capace di svolgere il ruolo che ha sempre svolto almeno dal dopoguerra
in poi, quando come mi ha detto un testimone di questo libro, Milano era capace di dare
l’illusione quantomeno di poter realizzare un sogno ciascuno di coloro che arrivava a
Milano per perseguire il proprio futuro. Tutti questi grattacieli che stanno crescendo
e che stanno sorgendo, cosa rappresentano? Che ceto sociale portano a Milano? Questi
grattacieli sono destinati a rimanere vuoti perché non c’è più il mercato? Sono destinati
alle persone molto ricche, sono destinati a diventare uffici anche essi a rischio di
inoccupazione, oppure possono essere una leva per portare nuova gente a Milano? Credo che
la riflessione che dovremmo fare sia questa: il problema non sono i grattacieli, il problema
è riportare gente, riportare i giovani a Milano, fare di Milano una città attrattiva
della creatività, che ci può essere in Italia, non soltanto e che qui deve trovare una sua
ospitalità, facendo leva per esempio sulle grandi risorse rappresentate dalle università,
assicurare condizioni di lavoro, assicurare che l’imprenditorialità si possa sviluppare
così com’è avvenuto nel passato, la questione del lavoro credo che sia una delle questioni
veramente centrali e della qualità del lavoro, una delle questioni veramente centrali perché
Milano possa svolgere questo ruolo e possa di nuovo diventare fortemente attrattiva nei
confronti di fasce giovani, altrimenti come spesso dico, Milano è destinata a diventare
un dormitorio di anziani e ricchi e i loro badanti!