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Come caporedattore di una delle più importanti pubblicazioni psicoanalitiche,
l'International Journal of Psychoanalysis,
vorrei porle due domande sullo scrivere di psicoanalisi:
Ogden dice che la scrittura analitica è una lotta
con la lingua, un tentativo di tradurre in parole
parole l'esperienza emotiva dell'incontro psicoanalitico.
Inoltre, penso che, vi è la difficoltà nel collegare
questa esperienza - l'esperienza clinica - con la teoria.
Puoi dirci qualcosa su questo problema, su questa
tensione tra linguaggio, teoria ed esperienza?
Credo che tutto il problema di scrivere su materiale
clinico, o di scrivere dell'esperienza analitica
è molto interessante e complesso. Naturalmente dipende
moltissimo dalla situazione: Se si sta scrivendo
per un supervisore sarà molto diverso
dallo scrivere un articolo per una rivista, ovviamente. Ma
persino scrivere per un supervisore è una questione complessa,
dato che - non so se ne è a conoscenza.
Società diverse hanno requisiti diversi. Nella Società Britannica i supervisori
richiedono o gradiscono una trascrizione della seduta,
mentre altre società vietano la trascrizione.
Comunque presumo che non
vogliamo parlare di questo quanto piuttosto di un articolo per una rivista.
Di nuovo penso che la questione
del materiale clinico in un articolo per una rivista sia complessa, perché
in primo luogo non ci ricordiamo molto di ciò che succede in una seduta,
voglio dire la rimozione, forze di rimozione iniziano a scattare.
Ed è anche molto dalla prospettiva dell'analista
non è una visione oggettiva di ciò che succede in seduta - si
tratta di quello che l'analista pensa sia successo in seduta,
e di ciò che possono ricordare che sia accaduto in seduta.
In realtà c'è tutta un'interazione fra teoria e pratica clinica,
c'è un andare e venire tra teoria e pratica clinica.
Da questo interscambio fra teoria e pratica, un
articolo per una rivista, o un lavoro, può emergere.
L'articolo stesso è sempre anche un dialogo
dialogo con altri autori, con se stessi, con supervisori, o chi altro.
Io vedo un articolo come un processo di ricerca,
una ricerca nella direzione di ulteriore ricerca. Penso che
quando qualcuno comincia a scrivere un articolo, ha delle idee
che sembrano nascere anche dal processo stesso di scrittura,
e a volte vanno in direzioni che non erano previste.
Per me questo è molto importante. Ci sono certe persone
che forse hanno un'idea e vanno a metterla per iscritto.
Non so, io la vedo molto di più come lo sviluppare un'idea mentre si sta scrivendo,
e molto in dialogo con se stessi e con altre persone.
Mi piace il filosofo francese Blanchot - che è citato anche da André Green e Bion
che dice “le malheur de la question 'est la réponse”
la sfortuna della domanda è la risposta. Ed è lo
stesso con un articolo, l'articolo non è la risposta
è un percorso che un altro articolo porterà
avanti, in un dialogo che continua a progredire.
E il modo in cui si scrive del materiale clinico è
parte di quel percorso, così come essere analista
è un percorso e lo scrive un articolo è un percorso: Ritengo che siano proprio
la stessa cosa. Si inizia, si va avanti, si pensa, si cambia, e così via.
In questo percorso si viene in contatto con l'inatteso?
Esattamente. E penso che questo sia il lato
piacevole, perché è inatteso, come lei ha detto.
Se era previsto, non sarebbe un buon articolo, per tante cose.
Parimenti quando si scrive del proprio materiale clinico, suppongo
si ri-pensi a quello che si stava per dire, a quello che si pensava del paziente,
e a come ne sia influenzato ciò che si sta per scrivere.
In termini molto pratici, ritengo anche importante
che non si tratta di scrivere un caso clinico.
Quando si scrive un articolo si fa una selezione
non si dimostra, non si può dimostrare nulla - si fa una selezione
del materiale per illustrare il punto che si cerca di argomentare.
Io penso che alcuni talvolta fanno l'errore di portare troppo materiale clinico,
o non abbastanza per dare il senso di quello che è effettivamente accaduto,
o troppo, e poi gli risulta difficile ridurre per puntualizzare effettivamente
ciò che si vuol dire.
Tuttavia credo che Ogden, quanto lei diceva di.
Ogden, quello che lui indica è quanto sia difficile
veicolare … perché non sono solo le parole, è ciò che è accaduto.
Ed è molto difficile. E se è una musica che si è ascoltata,
il paziente può averne ascoltata una molto diversa.
La seconda domanda: Nella la sua esperienza come caporedattore,
da che cosa è costituito un buon articolo psicoanalitico?
Ci può dare qualche consiglio per stimolare
la nostra fiducia nella scrittura,
e per ridurre le nostre ansie circa il processo di revisione?
Mi piacerebbe concentrarmi principalmente sulle ansie,
perché credo che questo sia molto interessante.
Naturalmente si tratta di un processo creativo, qualunque
processo creativo si porterà dietro un bel po' di ansie.
Anche ansie inconsce: Ansie di persecuzione,
circa l'essere invidiati o puniti o quel che sia,
ansie depressive tipo avrò abbastanza in me,
o il terrore che le cose non si incastreranno
bene - un'ansia di tipo fortemente depressivo -
oppure quando è pubblicato una sorta di depressione postnatale,
tipo “non ho più niente, niente altro verrà più fuori”.
Così penso che ci sia uno scontrarsi con tutto ciò, si lotta,
si combatte con “sto rubando idee... dal mio analista? … O da chicchessia?”.
Oppure “posso riparare?” - ci sono anche tutte le questioni riparative. -
E ci sono le questioni pregenitali tipo
“quanto buona e grande è la mia produzione?”
questioni di onnipotenza “è una grossa cosa fallica?
… O è un cosino piccolo piccolo?”.
O ancora “devo placare qualcuno?”, per esempio “meglio citare questo e quello,
perché voglio che si rendano conto che io appartengo al gruppo, o che faccio riferimento
a loro e dunque non voglio usurparne il ruolo, anche loro ci saranno nell'articolo”
” … tutte queste cose sono presenti. Per qualcuno scrivere un articolo può essere
essere un processo distruttivo: Fai fuori persone che
ne hanno parlato prima di te, o diversamente da te.
Quindi tutte queste ansie che sono piuttosto normali, per così dire,
in qualunque attività, e certo lo sono in un processo creativo,
ci saranno, e penso saranno proiettate sui redattori,
sui revisori ecc., si ha l'impressione che:
“Mio Dio! Rifiutano così tanti articoli!”.
Ebbene sì. Ovviamente non si accetta ogni articolo.
Tuttavia di fatto il nostro atteggiamento…. Voglio dire quando io, … sono molto
contenta quando vedo che un lavoro è stato mandato per la pubblicazione,
il mio atteggiamento è che vorrei che quel lavoro venisse
accettato, non vorrei niente di più! Noi cerchiamo veramente molto
di aiutare gli autori. È un processo, è un altro processo e un altro dialogo
che va avanti. Perché c'è sempre bisogno di qualcuno di esterno.
La maggior parte del lavori che ci arrivano
sono già stati letti da amici, colleghi, presentati in conferenze,
ma adesso hanno altri revisori anonimi esterni,
che non sono amici necessariamente e che potrebbero
avere un punto di vista leggermente diverso.
È particolarmente interessante con l'International Journal
poiché noi dobbiamo selezionare le persone in funzione dell'articolo,
possiamo volere persone che siano all'interno dello stesso gruppo,
oppure possiamo scegliere una persona - noi vorremmo sempre
scegliere qualcuno che sia in sintonia con l'approccio -
ma possiamo pensare che sia anche utile considerare un altro approccio,
e anche se a quest'altra persona non piace
perché non è quella la teoria che gli piace,
questo non significa che rifiuteremo l'articolo. Questo
dà un'idea di come qualcuno di un gruppo esterno
ci potrebbe riflettere, di come lo vedrebbe, e questo potrebbe dare
un'idea di cosa c'è da fare ulteriormente sull'articolo per renderlo,
forse, più comprensibile.
L'approccio dei Redattori ed il mio come Redattore Capo è molto, …
noi vorremmo mostrare, aiutare l'autore …
perché non accettiamo quasi mai un articolo al primo invio.
Noi sempre, anche se alla fine un articolo non lo accettiamo,
cerchiamo di spiegare esattamente il perché, e che problemi ci sono,
e speriamo che - ovviamente uno può fornire una nuova versione, ma
se ne fanno una nuova versione che noi ancora non possiamo accettar
un'altra rivista potrebbe farlo, noi abbiamo i nostri punti di vista
allora speriamo che almeno sia un percorso,
forse ci potranno mandare un altro articolo,
la volta successiva avranno imparato qualcosa
dal processo con cui si sono confrontati, così l'articolo successivo
potrà andare un po' più avanti. E naturalmente
molti articoli hanno molte diverse versioni.
Se ci si riflette, un articolo ha avuto tre revisori anonimi,
un Redattore Associato ed il Caporedattore, tutti che hanno riflettuto sull'articolo,
quindi di fatto è un bell'aiuto per ulteriori ripensamenti sull'articolo.
… C'è molto di più, molto di più dietro a tutto ciò che vi è connesso.
Quindi ci sono molte persone che aspettano questo neonato!
Sì, come un bambino, che tipo di bambino uno è in grado di generare,
sarà sano, sarà integro, o anormale