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Dell'invito trascorsa è già l'ora. Voi tardaste.
Giocammo da Flora, e giocando quell'ore volar.
Flora, amici, la notte che resta
d'altre gioie qui fate brillar.
Fra le tazze è più viva la festa.
- E goder voi potrete? - Lo voglio;
al piacere m'affido, ed io soglio
col tal farmaco i mali sopir.
Sì, la vita s'addoppia al gioir.
In Alfredo Germont, o signora,
ecco un altro che molto vi onora;
pochi amici a lui simili sono.
Mio visconte, mercé di tal dono.
- Caro Alfredo! - Marchese...
T'ho detto: l'amistà qui s'intreccia al diletto.
Pronto è il tutto?
Miei cari, sedete:
è al convito che s'apre ogni cor.
Ben diceste. Le cure segrete fuga sempre l'amico licor.
È al convito che s'apre ogni cor.
Sempre Alfredo a voi pensa.
- Scherzate? - Egra foste, e ogni dì con affanno
qui volò, di voi chiese.
Cessate.
- Nulla son io per lui. - Non v'inganno.
Vero è dunque? Onde è ciò? Noi comprendo.
- Sì, egli è ver. - Le mie grazie vi rendo.
Voi, barone, non feste altrettanto.
Vi conosco da un anno soltanto.
Ed ei solo da qualche minuto.
Meglio fora se aveste taciuto.
- M'è increscioso quel giovin. - Perché?
A me invece simpatico egli è.
E tu dunque non apri più bocca?
È a madama che scuoterlo tocca.
Sarò l'Ebe che versa.
E ch'io bramo immortai come quella.
Beviamo.
0 barone, né un verso, né un viva
troverete in quest'ora giuliva?
Dunque a te...
Sì, sì, un brindisi.
L'estro non m'arride.
E non sei tu maestro?
Vi fia grato?
- Sì. - Sì?
L'ho già in cor.
- Dunque attenti. - Sì, attenti al cantor.
Libiam ne' lieti calici
che la bellezza infiora,
e la fuggevol ora
s'inebri a voluttà.
Libiam ne' dolci fremiti
che suscita l'amore,
poiché quell'occhio al core onnipotente va.
Libiamo, amor fra i calici
più caldi baci avrà.
Libiamo, amor fra i calici
più caldi baci avrà.
Tra voi saprò dividere il tempo mio giocondo;
tutto è follia nel mondo
ciò che non è piacer.
Godiam, fugace e rapido è il gaudio dell'amore;
è un fior che nasce e muore,
né più si può goder.
Godiam, c'invita un fervido
accento lusinghier.
Godiam, la tazza e il cantico
la notte abbella e il riso;
in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.
La vita è nel tripudio.
Quando non s'ami ancora.
Noi dite a chi l'ignora.
È il mio destin così.
Godiam, la tazza e il cantico
la notte abbella e il riso;
in questo paradiso
ne scopra il nuovo dì.
- Che è ciò? - Non gradireste ora le danze?
Oh, il gentil pensieri Tutti accettiamo.
Usciamo dunque. Ohimè!
- Che avete? - Nulla, nulla.
Che mai v'arresta?
Usciamo.
- Oh Dio - Ancora
- Voi soffrite? - O ciel! Ch'è questo?
Un tremito che provo! Or là passate.
Fra poco anch'io sarò.
Come bramate.
Oh qual pallor!
Voi qui!
Cessata è l'ansia che vi turbò?
Sto meglio.
Ah, in cotal guisa v'ucciderete.
Aver v'è d'uopo cura dell'esser vostro.
E lo potrei?
Oh! Se mia foste,
custode io veglierei pe' vostri soavi dì.
Che dite?
Ha forse alcuno cura di me?
Perché nessuno al mondo v'ama.
- Nessun? - Tranne sol io.
Gli è vero! Sì grande amor dimenticato avea.
Ridete?
E in voi v'ha un core?
Un cor? Sì, forse.
E a che lo richiedete?
Ah, se ciò fosse, non potreste allora celiar.
- Dite davvero? - lo non v'inganno.
Da molto è che mi amate?
Ah sì, da un anno.
Un dì, felice, eterea,
mi balenaste innante,
e da quel dì tremante
vissi d'ignoto amor.
Di quell'amor ch'è palpito
dell'universo intero,
misterioso,
misterioso, altero,
croce e delizia al cor.
Ah, se ciò è ver, fuggitemi.
Solo amistade io v'offro;
amar non so, né soffro un così eroico amor.
lo sono franca, ingenua;
altra cercar dovete;
non arduo troverete dimenticarmi allor.
Oh, amore! Misterioso,
- misterioso, altero, - Non arduo troverete
- croce e delizia al cor. - dimenticarmi allor.
Ebben? Che diavol fate?
- Si folleggiava. - Ah! Ah! Sta ben! Restate.
Amor dunque non più... Vi garba il patto?
lo v'obbedisco. Parto.
A tal giungeste?
Prendete questo fiore.
- Perché? - Per riportarlo.
Quando?
Quando sarà appassito.
0 del! Domani.
Ebben, domani.
lo son felice!
D'amarmi dite ancora?
Oh, quanto v'amo!
Partite?
Parto.
- Addio. - Di più non bramo.
Addio.
Si ridesta in del l'aurora, e n'è forza di partire;
mercé a voi, gentil signora, di sì splendido gioir.
La città di feste è piena,
volge il tempo dei piacer;
nel riposo ancor la lena
si ritempri per goder.
È strano! È strano!
In core scolpiti ho quegli accenti!
Saria per me sventura un serio amore?
Che risolvi, o turbata anima mia?
Null'uomo ancora t'accendeva.
0 gioia ch'io non conobbi,
essere amata amando!
E sdegnarla poss'io per l'aride follie
del viver mio?
Ah, fors'è lui che l'anima
solinga ne' tumulti godea sovente pingere
de' suoi colori occulti...
Lui che modesto e vigile all'egre soglie ascese,
e nuova febbre accese, destandomi all'amor.
A quell'amor ch'è palpito
dell'universo intero,
misterioso, altero,
croce e delizia al cor.
Follie! Follie!
Delirio vano è questo!
Povera donna,
sola, abbandonata
in questo popoloso deserto che appellano Parigi,
che spero or più? Che far degg'io?
Gioire, di voluttà nei vortici,
di voluttà perir!
Sempre libera degg'io folleggiar di gioia in gioia,
vo' che scorra il viver mio pei sentieri del piacer.
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
sempre lieta ne' ritrovi
a diletti sempre nuovi dee volare il mio pensier.
Amore,
amore è palpito
- dell'universo intero, - Oh, amore!
misterioso, altero,
croce e delizia al cor!
Follie! Follie!
Gioire!
Sempre libera degg'io folleggiar di gioia in gioia,
vo' che scorra il viver mio pei sentieri del piacer.
Nasca il giorno, o il giorno muoia,
sempre lieta ne' ritrovi
a diletti sempre nuovi dee volare il mio pensier.
Amor è palpito dell'universo...
Lunge da lei per me non v'ha diletto!
Volaron già tre lune dacché la mia Violetta
agi per me lasciò, dovizie, onori,
e le pompose feste
ove, agli omaggi avvezza, vedea schiavo ciascun
di sua bellezza.
Ed or contenta in questi ameni luoghi
tutto scorda per me.
Qui presso a lei io rinascer mi sento,
e dal soffio d'amor rigenerato
scordo ne' gaudi suoi
tutto il passato.
De' miei bollenti spiriti il giovanile ardore
ella temprò col placido
sorriso dell'amor!
Dal dì che disse: vivere io voglio a te fedel,
dell'universo immemore
io vivo quasi in ciel.
- Annina, donde vieni? - Da Parigi.
Chi tei commise?
Fu la mia signora.
Perché?
Per alienar cavalli,
cocchi, e quanto ancor possiede.
Che mai sento!
Lo spendio è grande a viver qui solinghi.
- E tacevi? - Mi fu il silenzio imposto.
Imposto? Or v'abbisogna?
Mille luigi.
Or vanne. Andrò a Parigi.
Questo colloquio non sappia la signora.
Il tutto valgo a riparare ancora.
Va'! Va'!
0 mio rimorso! 0 infamia!
lo vissi in tale errore!
Ma il turpe sonno a frangere il ver mi balenò.
Per poco in seno acquetati,
o grido dell'onore;
m'avrai securo vindice;
quest'onta laverò.
O mio rossor! O infamia!
Ah, sì, quest'onta laverò.
Alfredo?
Per Parigi or or partiva.
E tornerà?
Pria che tramonti il giorno. Dirvel m'impose.
È strano!
- Per voi. - Sta ben.
In breve giungerà un uom d'affari.
Entri all'istante.
Ah, ah, scopriva Flora il mio ritiro,
e m'invita a danzar per questa sera!
Invan m'aspetterà.
È qui un signore.
Sarà lui che attendo.
Madamigella Valéry?
- Son io. - D'Alfredo il padre in me vedete!
-Voi! - Sì, dell'incauto,
che a ruina corre, ammaliato da voi.
Donna son io, signore, ed in mia casa;
ch'io vi lasci assentite,
più per voi che per me.
Quai modi! Pure...
Tratto in error voi foste.
De' suoi beni dono vuol farvi.
Non l'osò finora. Rifiuterei.
Pur tanto lusso...
A tutti è mistero quest'atto.
A voi noi sia.
Ciel! Che discopro!
D'ogni vostro avere or volete spogliarvi?
Ah, il passato perché, perché v'accusa?
Più non esiste. Or amo Alfredo,
e Dio lo cancellò
col pentimento mio.
Nobili sensi invero!
Oh, come dolce mi suona il vostro accento!
Ed a tai sensi un sacrificio chieggo.
Ah no, tacete.
Terribil cosa chiedereste certo.
Il previdi.
V'attesi.
Era felice troppo.
D'Alfredo il padre la sorte,
l'avvenir domanda or qui de' suoi due figli.
Di due figli!
Sì.
Pura siccome un angelo
Iddio mi die' una figlia;
se Alfredo nega riedere in seno alla famiglia,
l'amato e amante giovine,
cui sposa andar dovea, or si ricusa al vincolo
che lieti ne rendeva.
Deh, non mutate in triboli le rose dell'amor.
A' prieghi miei resistere no, no, non voglia il vostro cor.
Ah, comprendo.
Dovrò per alcun tempo
da Alfredo allontanarmi.
Doloroso fora per me, pur...
- Non è ciò che chiedo. - Cielo, che più cercate?
- Offersi assai! - Pur non basta.
Volete che per sempre a lui rinunzi?
È d'uopo!
Ah, no, giammai!
No, mai!
Non sapete
quale affetto vivo, immenso m'arda in petto?
Che né amici, né parenti
io non conto tra i viventi?
E che Alfredo m'ha giurato che in lui tutto troverò?
Voi sapete che colpita d'atro morbo è la mia vita?
Che già presso il fin ne vedo?
Ch'io mi separi da Alfredo?
Ah, il supplizio è sì spietato,
che morir preferirò.
È grave il sacrifizio,
ma pur tranquilla uditemi.
Bella voi siete e giovine.
Col tempo...
Ah, più non dite.
V'intendo. M'è impossibile.
Lui solo amar vogl'io.
Sia pure,
ma volubile sovente è l'uom.
Gran Dio!
Un dì, quando le veneri il tempo avrà fugate,
fia presto il tedio a sorgere. Che sarà allor?
Pensate...
Per voi non avran balsamo i più soavi affetti,
poiché dal del non furono tai nodi benedetti.
È vero!
Ah, dunque sperdasi tal sogno seduttore.
- È vero! - Siate di mia famiglia
l'angiol consolatore. Violetta,
deh, pensateci, ne siete in tempo ancor.
È Dio che ispira, o giovine,
è Dio che ispira tai detti a un genitor.
Così alla misera, ch'è un dì caduta,
di più risorgere speranza è muta!
Siate di mia famiglia l'angiol consolator.
Se pur benefico le indulga Iddio,
l'uomo implacabile per lei sarà.
Dite alla giovine sì bella e pura
ch'avvi una vittima della sventura,
cui resta un unico raggio di bene,
che a lei il sacrifica e che morrà!
Piangi, piangi, piangi, o misera!
Supremo, il veggo,
è il sacrificio
ch'ora ti chieggo.
Sento nell'anima
già le tue pene;
coraggio, e il nobil tuo cor vincerà.
Imponete.
Non amarlo ditegli.
Noi crederà.
Partite.
Seguirammi.
Allor...
Qual figlia m'abbracciate,
forte così sarò.
Tra breve ei vi fia reso, ma afflitto oltre ogni dire.
A suo conforto di colà volerete.
Che pensate?
SapendoI, v'opporreste al pensier mio.
Generosa! E per voi che far poss'io?
Morrò! La mia memoria non fia ch'ei maledica,
se le mie pene orribili vi sia chi almen gli dica.
No, generosa, vivere,
e lieta, voi dovrete,
mercé di queste lagrime
dal cielo un giorno avrete.
Conosca il sacrifizio ch'io consumai d'amore,
che sarà suo fin l'ultimo sospiro del mio cor.
Premiato il sacrifizio sarà del vostro amore;
d'un'opra così nobile sarete fiera allor, sì!
Qui giunge alcun: partite!
Ah, grato v'è il cor mio!
Partite.
Non ci vedrem più forse.
Siate felice.
Addio!
Addio!
- Conosca il sacrifizio - Sì.
- ch'io consumai d'amore... - Sì.
che sarà suo fin l'ultimo...
Addio!
Felice siate.
Addio!
Dammi tu forza, o cielo!
- Mi richiedeste? -Sì.
Reca tu stessa questo foglio.
Silenzio.
Va' all'istante.
Ed or si scriva a lui.
Che gli dirò?
Chi men darà il coraggio?
Che fai?
- Nulla. - Scrivevi? - Sì... no... - Qualturbamento!
A chi scrivevi?
-A te. - Dammi quel foglio.
- No, per ora. - Mi perdona.
Son io preoccupato.
- Che fu? - Giunse mio padre.
Lo vedesti?
Ah no; severo scritto mi lasciava!
Però l'attendo, t'amerà in vederti.
Ch'ei qui non mi sorprenda. Lascia che m'allontani.
Tu lo calma. Ai piedi suoi mi getterò.
Divisi ei più non ne vorrà.
Sarem felici, perché tu m'ami, Alfredo,
tu m'ami, non è vero? Tu m'ami, Alfredo...
Oh, quanto!
Perché piangi?
Di lagrime avea d'uopo.
Or son tranquilla.
Lo vedi? Ti sorrido.
Lo vedi? Or son tranquilla. Ti sorrido.
Sarò là, tra quei fior,
presso a te sempre.
Amami, Alfredo,
amami quant'io t'amo!
Addio!
Ah, vive sol quel core all'amor mio!
È tardi:
ed oggi forse più non verrà mio padre.
La signora è partita.
L'attendeva un calesse, e sulla via già corre di Parigi.
Annina pure prima di lei spariva.
Il so, ti calma.
Che vuol dir ciò?
Va forse d'ogni avere ad affrettar la perdita.
Ma Annina lo impedirà.
Qualcuno è nel giardino! Chi è là?
- Il signor Germont? - Son io.
Una dama da un cocchio, per voi, di qua non lunge,
mi diede questo scritto.
Di Violetta!
Perché son io commosso?
A raggiungerla forse ella m'invita.
lo tremo!
Oh del!
Coraggio!
"Alfredo, al giungervi di questo foglio..."
Padre mio!
Figlio mio!
Oh, quanto soffri! Oh, tergi il pianto,
ritorna di tuo padre
orgoglio e vanto.
Di Provenza il mar, il suol chi dal corti cancello?
Al natio fulgente sol qual destino ti furò?
Oh, rammenta pur nel duol ch'ivi gioia a te brillò;
e che pace colà sol su te splendere ancor può.
Dio mi guidò!
Ah! Il tuo vecchio genitor tu non sai quanto soffrì!
Te lontano, di squallor
il suo tetto si coprì.
Ma se alfin ti trovo ancor, se in me speme non fallì,
se la voce dell'onor in te appien non ammutì,
Dio m'esaudì!
Né rispondi d'un padre all'affetto?
Mille serpi divoranmi il petto.
- Mi lasciate. - Lasciarti! - Oh vendetta!
Non più indugi; partiamo, t'affretta.
- Ah, fu Douphol! - M'ascolti tu? - No.
Dunque invano trovato t'avrò!
No, non udrai rimproveri; copriam d'oblio il passato;
l'amor che m'ha guidato sa tutto perdonar.
Vieni, i tuoi cari in giubilo con me rivedi ancora:
a chi penò finora tal gioia non negar.
Un padre ed una suora t'affretta a consolar.
No, non udrai rimproveri;
copriam d'oblio il passato;
l'amor sa tutto perdonar.
Un padre ed una suora t'affretta a consolar.
Mille serpi divoranmi il petto.
- M'ascolti tu? - No.
Ah! Ell'è alla festa!
- Volisi l'offesa a vendicar. - Che dici?
Ah, ferma!
Avrem lieta di maschere la notte; n'è duce il viscontino.
Violetta ed Alfredo anco invitai.
La novità ignorate?
- Violetta e Germont sono disgiunti. - Fia vero?
Ella verrà qui col barone.
Li vidi ieri ancor! Parean felici.
Silenzio. Udite?
Giungono gli amici.
Noi siamo zingarelle venute da lontano;
d'ognuno sulla mano leggiamo l'avvenir.
Se consultiam le stelle
null'avvi a noi d'oscuro,
e i casi del futuro possiamo altrui predir.
Vediamo!
Voi, signore, rivali alquanti avete.
Signora, voi non siete model di fedeltà.
Fate il galante ancora? Ben, vo' me la paghiate.
Che diamin vi pensate? L'accusa è falsità.
La volpe lascia il pelo, non abbandona il vizio.
Marchese mio, giudizio, o vi farò pentir.
Su via, si stenda un velo
sui fatti del passato;
già quel ch'è stato è stato,
badate all'avvenir.
Su via, si stenda un velo sui fatti del passato;
già quel ch'è stato è stato, badiamo all'avvenir.
Di Madride noi siam mattadori,
siamo i prodi del circo de' tori,
testé giunti a godere del chiasso
che a Parigi si fa pel bue grasso;
e una storia, se udire vorrete,
quali amanti noi siamo saprete.
Sì, sì, bravi; narrate, narrate:
con piacere l'udremo.
Ascoltate.
È Piquillo un bel gagliardo biscaglino mattador:
forte il braccio, fiero il guardo,
delle giostre egli è signor.
D'andalusa giovinetta
follemente innamorò;
ma la bella ritrosetta così al giovane parlò:
Cinque tori in un sol giorno vo' vederti ad atterrar;
e, se vinci, al tuo ritorno mano e corti vo' donar.
Sì, gli disse, e il mattadore
alle giostre mosse il piè;
cinque tori, vincitore,
sull'arena egli stendé.
Bravo, bravo il mattadore, ben gagliardo si mostrò,
se alla giovane l'amore in tal guisa egli provò.
Poi, tra plausi, ritornato alla bella del suo cor,
colse il premio desiato tra le braccia dell'amor.
Con tai prove i mattadori
san le belle conquistar.
Ma qui son più miti i cori; a noi basta folleggiar.
Sì, allegri, or pria tentiamo
della sorte il vario umor;
la palestra dischiudiamo
agli audaci giuocator.
Alfredo!
Voi!
Sì,
amici.
Violetta?
Non ne so.
Ben disinvolto! Bravo!
Or via, giuocar si può.
Qui desiata giungi.
Cessi al cortese invito.
Grata vi son, barone,
d'averlo pur gradito.
Germont è qui! Il vedete?
Ciel! Gli è vero! Il vedo.
Da voi non un sol detto
si volga a questo Alfredo.
Non un detto!
Ah, perché venni, incauta!
Pietà, gran Dio, di me!
Meco t'assidi; narrami: quai novità vegg'io?
- Un quattro! - Ancora hai vinto.
Sfortuna nell'amore fortuna reca al giuoco!
È sempre vincitore!
Oh, vincerò stasera; e l'oro guadagnato
poscia a goder tra' campi ritornerò beato.
- Solo? - No, no,
con tale che vi fu meco ancora, poi mi sfuggia.
- Mio Dio! - Pietà di lei! - Signor!
Frenatevi, o vi lascio.
Barone, m'appellaste?
Siete in sì gran fortuna,
- che al giuoco mi tentaste. - Sì? La disfida accetto.
Che fia? Morir mi sento!
Pietà, gran Dio, di me!
Cento luigi a destra.
Ed alla manca cento.
Ancora. Un quattro. Hai vinto!
Il doppio?
Il doppio sia.
Un quattro, un sette.
- Ancora! - Pur la vittoria è mia!
Bravo davver! La sorte è tutta per Alfredo!
Del villeggiar la spesa farà il baron, già il vedo.
Seguite pur.
- La cena è pronta. - Andiamo.
Andiamo.
Che fia? Morir mi sento!
Pietà, gran Dio, di me!
- Se continuar v'aggrada... - Per ora noi possiamo:
più tardi la rivincita.
Al gioco che vorrete.
Seguiam gli amici; poscia...
Sarò qual bramerete. Andiam.
Andiam.
Invitato a qui seguirmi,
verrà desso? Vorrà udirmi?
Ei verrà,
ché l'odio atroce puote in lui più di mia voce.
Mi chiamaste? Che bramate?
Questi luoghi abbandonate;
un periglio vi sovrasta.
Ah, comprendo! Basta, basta.
E sì vile mi credete?
- Ah no, no, mai... - Ma che temete?
Tremo sempre del barone...
È tra noi mortai quistione...
S'ei cadrà per mano mia, un sol colpo vi torria
coll'amante il protettore. V'atterrisce tal sciagura?
Ma s'ei fosse l'uccisore?
Ecco l'unica sventura ch'io pavento a me fatale!
La mia morte! Che ven cale?
Deh, partite, e sull'istante.
Partirò, ma giura innante
che dovunque seguirai i passi miei.
Ah, no, giammai!
- No! Giammai! - Va', sciagurato. Scorda un nome
ch'è infamato. Va', mi lascia sul momento.
Di fuggirti un giuramento sacro io feci.
A chi? Dillo!
Chi potea?
Chi diritto pien ne avea.
- Douphol? - Sì.
Dunque l'ami?
Ebben... l'amo.
Or tutti a me.
Ne appellaste? Che volete?
Questa donna conoscete?
Chi? Violetta?
- Che facesse non sapete? -Ah, taci!
No.
Ogni suo aver tal femmina
per amor mio sperdea.
lo cieco, vile, misero,
tutto accettar potea.
Ma è tempo ancora! Tergermi da tanta macchia bramo.
Qui testimon vi chiamo
che qui pagata io l'ho.
Oh, infamia orribile tu commettesti!
Un cor sensibile così uccidesti!
Di donne ignobile insultatore,
di qui allontanati, ne desti orror.
Va', va', va', ne desti orror!
Di sprezzo degno
se stesso rende
chi pur nell'ira
la donna offende.
Dov'è mio figlio?
Più non lo vedo;
in te più Alfredo trovar non so.
Ah sì! Che feci! Ne sento orrore!
Gelosa smania, deluso amore
mi strazia l'alma, più non ragiono.
Da lei perdono più non avrò.
Volea fuggirla, non ho potuto!
Dall'ira spinto son qui venuto!
Or che lo sdegno ho disfogato,
me sciagurato,
- rimorso n'ho. -Ah, quanto peni!
- A questa donna l'atroce insulto - lo sol fra tanti so qual virtude
- qui tutti offese, - di quella misera il sen racchiude.
- ma non inulto fia tanto oltraggio. - Qui soffre ognuno del tuo dolor.
- lo so che l'ama, - Fra cari amici
- che gli è fedele, - qui sei soltanto;
- eppur, crudele, tacer dovrò! - rasciuga il pianto che t'inondò.
Alfredo, Alfredo, di questo core
non puoi comprendere tutto l'amore;
tu non conosci che fino a prezzo
del tuo disprezzo provato io l'ho!
- Ohimè! Che feci! Ne sento orror! - Quanto peni! Fa' cor!
Ma verrà tempo in che il saprai.
Com'io t'amassi confesserai.
Dio dai rimorsi ti salvi allora.
lo spenta ancora pur t'amerò.
Volea fuggirla, non ho potuto!
Dall'ira spinto son qui venuto!
Or che lo sdegno ho disfogato,
me sciagurato, rimorso n'ho.
lo spenta ancor
pur t'amerò.
Ah sì! Che feci! Ne sento orrore! Da lei perdono più non avrò.
Annina?
Comandate?
Dormivi, poveretta?
Sì, perdonate.
Dammi d'acqua un sorso.
Osserva, è pieno il giorno?
Son sett'ore.
Da' accesso a un po' di luce.
Il signor di Grenvil!
Oh, il vero amico!
Alzar mi vo', m'aita.
Quanta bontà! Pensaste a me per tempo!
Sì, come vi sentite?
Soffre il mio corpo,
ma tranquilla ho l'alma.
Mi confortò iersera un pio ministro.
Ah! Religione è sollievo a' sofferenti.
E questa notte?
Ebbi tranquillo il sonno.
Coraggio adunque,
la convalescenza non è lontana.
Oh, la bugia pietosa
a' medici è concessa!
Addio, a più tardi.
Non mi scordate.
Come va, signore?
La tisi non le accorda che poche ore.
Or fate cor.
Giorno di festa è questo?
Tutta Parigi impazza, è carnevale.
Ah, nel comun tripudio,
sallo il cielo quanti infelici soffron!
Quale somma v'ha in quello stipo?
Venti luigi.
Dieci ne reca ai poveri tu stessa.
Poco rimanvi allora.
Oh, mi sarà bastante!
Cerca poscia mie lettere.
- Ma voi? - Nulla occorrà.
Sollecita, se puoi.
"Teneste la promessa.
"La disfida ebbe luogo!
"Il barone fu ferito, però migliora.
"Alfredo è in stranio suolo.
"Il vostro sacrifizio io stesso gli ho svelato.
"Egli a voi tornerà pel suo perdono.
"lo pur verrò.
"Curatevi.
"Meritate un avvenir migliore.
"Giorgio Germont."
È tardi!
Attendo, attendo...
Né a me giungon mai!
Oh, come son mutata!
Ma il dottore a sperar pure m'esorta!
Ah, con tal morbo
ogni speranza è morta.
Addio, del passato bei sogni ridenti,
le rose del volto già sono pallenti;
l'amore d'Alfredo perfino mi manca,
conforto, sostegno dell'anima stanca.
Conforto...
sostegno... ah!
Della traviata sorridi al desio;
a lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio.
Ah, tutto finì.
Le gioie, i dolori tra poco avran fine,
la tomba ai mortali di tutto è confine!
Non lagrima o fiore avrà la mia fossa,
non croce col nome che copra quest'ossa!
Non croce...
Non fior...
Della traviata sorridi al desio;
a lei, deh, perdona; tu accoglila, o Dio.
Ah, tutto finì.
Largo al quadrupede sir della festa,
di fiori e pampini cinto la testa.
Largo al più docile d'ogni cornuto,
di corni e pifferi abbia il saluto.
Parigini, date passo al trionfo del bue grasso.
L'Asia, né l'Africa vide il più bello,
vanto ed orgoglio d'ogni macello.
Allegre maschere, pazzi garzoni,
tutti plauditelo con canti e suoni!
Parigini, date passo al trionfo del bue grasso.
Largo al quadrupede sir della festa,
di fiori e pampini cinto la testa.
- Signora! - Cos'è?
Quest'oggi, è vero? Vi sentite meglio?
- Sì, perché? - D'esser calma promettete?
Sì, che vuoi dirmi?
Prevenir vi volli una gioia improvvisa.
- Una gioia! Dicesti? - Sì, o signora.
Alfredo! Ah, tu il vedesti? Ei vien! T'affretta. Alfredo?
- Amato Alfredo! - Oh, mia Violetta!
Oh, gioia!
Colpevol sono. So tutto, o cara.
lo so che alfine reso mi sei!
Da questo palpito s'io t'ami impara,
senza te esistere più non potrei.
Ah, s'anco in vita m'hai ritrovata,
credi che uccidere non può il dolor.
Scorda l'affanno, donna adorata,
a me perdona e al genitor.
Ch'io ti perdoni? La rea son io;
ma solo amore tal mi rendè.
Null'uomo o demone, angelo mio,
mai più dividermi potrà da te.
Parigi, o cara, noi lasceremo,
la vita uniti trascorreremo.
De' corsi affanni compenso avrai,
la tua salute rifiorirà.
Sospiro e luce tu mi sarai,
tutto il futuro ne arriderà.
Parigi, o caro, noi lasceremo,
la vita uniti trascorreremo.
Sì.
De' corsi affanni compenso avrai,
la mia salute rifiorirà.
Sospiro e luce tu mi sarai,
tutto il futuro ne arriderà.
Ah, non più, a un tempio, Alfredo, andiamo,
del tuo ritorno grazie rendiamo.
- Tu impallidisci! - È nulla, sai!
Gioia improvvisa non entra mai
senza turbarlo in mesto core.
- Gran Dio! Violetta! - È il mio malore!
Fu debolezza!
Ora son forte.
Vedi? Sorrido.
Ahi, cruda sorte!
Fu nulla. Annina, dammi a vestire.
Adesso? Attendi.
No! Voglio uscire.
Gran Dio! Non posso!
Cielo! Che vedo! Va' pel dottore.
Ah! Digli che Alfredo è ritornato all'amor mio.
Digli che vivere ancor vogl'io.
Ma se tornando non m'hai salvato,
a niuno in terra salvarmi è dato.
Ah! Gran Dio! Morir sì giovine,
io che penato ho tanto!
Morir sì presso a tergere il mio sì lungo pianto!
Ah, dunque fu delirio
la credula speranza;
invano di costanza
armato avrò, avrò il mio cor!
Oh mio sospiro e palpito,
diletto del cor mio!
Le mie colle tue lagrime confondere degg'io!
Ma più che mai, deh, credilo,
m'è d'uopo di costanza.
Ah! Tutto alla speranza non chiudere il tuo cor.
- Violetta mia, deh, calmati. - Alfredo mio!
- M'uccide il tuo dolor. - Oh, il crudo termine
serbato al nostro amor!
- Ah, Violetta! - Voi, signor!
Mio padre!
- Non mi scordaste? - La promessa adempio.
A stringervi qual figlia vengo al seno, o generosa.
Ahimè, tardi giungeste!
Pure, grata ven sono.
Grenvil, vedete?
Tra le braccia io spiro di quanti ho cari al mondo.
Che mai dite!
Oh cielo!
È ver!
La vedi, padre mio?
Di più non lacerarmi, troppo rimorso l'alma mi divora.
Quasi fulmin m'atterra ogni suo detto.
Ah, malcauto vegliardo!
Il mal ch'io feci ora sol vedo!
Più a me t'appressa.
Ascolta, amato Alfredo.
Prendi: quest'è l'immagine
de' miei passati giorni;
a rammentar ti torni
colei che sì t'amò.
- No, non morrai, non dirmelo. - Cara, sublime,
- Dei viver, amor mio! - sublime vittima
- A strazio sì terribile - d'un disperato amore,
- qui non mi trasse Iddio. - perdonami lo strazio
recato al tuo bel cor.
Se una pudica vergine,
degli anni suoi nel fiore,
a te donasse il core,
sposa ti sia, lo vo\
Le porgi questa effigie;
dille che dono ell'è
di chi nel del fra gli angeli
prega per lei, per te.
Finché avrà il ciglio lacrime...
- Sì presto, ah no, - ...io piangerò per te;
- ah no, dividerti - vola a' beati spiriti;
- morte non può da me. - Iddio ti chiama a sé.
Le porgi questa effigie.
- Ah, vivi, o solo un feretro... - Vola a' beati spiriti.
Dille che dono ell'è...
- ...m'accoglierà con te. - Iddio ti chiama a sé.
...di chi nel del fra gli angeli
prega per lei, per te.
È strano!
Cessarono gli spasmi del dolore.
In me rinasce,
m'agita insolito vigore!
Ah! Ma io ritorno a vivere!
Oh, gioia!
È spenta!