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I tarantini, probabilmente, sono stati
abbastanza addormentati per diversi anni,
però hanno la scusante, innanzi tutto del ricatto occupazionale,
e anche della normalità, che qui è
lavorare o all'Ilva o in Marina,
e crescere con accanto delle ciminiere che
rendono fetida l'aria.
Tipo, dove vivo io,
posso individuare la direzione dei venti
in base alla puzza che avvolge il quartiere.
Quindi o è l'Ilva, o è la Cementir,
o è l'Eni, o la discarica.
Per me, i Riva sono degli ospiti sgraditissimi.
Quindi non lascerò mai casa mia per questo motivo.
Non è mia intenzione lasciargli spazio,
né lasciargli la mia casa,
né lasciargli il mare che amo da quando sono piccino.
Non è giusto lasciargli questi tramonti,
non è giusto lasciargli la città vecchia,
anche se vive in uno stato pietoso.
La gente ritorna, la gente decide di rimanere.
E quindi viene socializzato un modo diverso di percepire la città.
È ancora a livello percettivo, insomma...
Cioè, un vero cambiamento non si è sviluppato.
La sfida sarà quella, appunto, di come impostare
questi episodi e questi momenti di cambiamento
e metterli nella quotidianità,
magari anche riuscendoci a far uscire il lavoro da queste attività.
Che per ora rimane abbastanza
monopolio di un volontariato generico a rimborso spese.
Per me Ammazza Che Piazza, in prima cosa, è una chance per la città.
È una chance per rinascere.
E, seconda cosa,
quello che vuole fare Ammazza Che Piazza
è lanciare un messaggio di speranza.
Di speranza che questa città può cambiare.
Perché Ammazza Che Piazza non fa altro che fare delle cose
che nelle altre città sono normali.
Tipo aree cani, tipo gli orti urbani,
che sono stati fatti in una pineta che noi abbiamo riqualificato.
Diciamo, ci diamo da fare noi.
Per un futuro migliore per la nostra città.
Non ci candidiamo, non siamo sindaci, non vogliamo una premiazione, non vogliamo niente.
Vogliamo solo che la gente ci segua.
E un domani Ammazza Che Piazza non ci sia più,
che tutti siano Ammazza Che Piazza, tutta la città.
Solo questo vogliamo noi.
Ogni persona che decide di restare in questa città
ha una sorta di missione.
Che è quella di migliorare il mondo in cui vive.
O quantomeno di lasciare, anche se piccola,
lasciare una traccia del proprio passaggio in questa terra.
L'amministrazione comunale è un po' sorda e silente.
Sembra quasi non sentire quella che è la voce che proviene dal basso.
Però, fortunatamente, ci sono degli esempi positivi
che fanno crollare anche tutti questi preconcetti.
In occasione della Settimana della Mobilità, ad esempio,
noi abbiamo avuto un grosso interesse da parte dell'amministrazione tutta.
Questo ci deve far riflettere,
e ci deve far capire probabilmente
quando non si riesce ad instaurare un dialogo con le istituzioni,
le colpe vanno ripartite
sia tra le istituzioni, ma sono anche le associazioni che devono
comprendere che non è possibile sempre e solo distruggere,
ma bisogna cercare di costruire qualcosa.
E chiaramente, se non c'è l'appoggio politico,
molto spesso è molto difficile costruire qualcosa.
L'immagine di Taranto che
è percepita fuori dalla nostra città non è veritiera.
Questa è una città che ha tanta voglia di riscatto.
È una città che ha dato tanto alla nazione.
La grande siderurgia non l'abbiamo chiesta noi.
Non l'abbiamo scelto noi.
Ci è stata imposta dal governo.
Ora il governo deve risolvere il problema.
C'è una grande partecipazione dei cittadini.
C'è voglia di cambiare questa città.
C'è voglia di essere una città non inquinata.
C'è voglia di non piangerci più addosso.
C'è voglia di un riscatto
morale e anche sociale.
Vorrei...
che riuscissimo a fare quello che pensiamo.
E quello che pensiamo non è pulire le piazzette.
Quello che pensiamo è vedere una Taranto diversa da quello che è, differente.
E non solo la città, non solo l'industria,
non solo la marina, non solo tutto quello che ci circonda,
ma anche noi stessi tarantini.
Perché il problema principale
è la testa dei tarantini a Taranto.
E Ammazza Che Piazza,
in due anni,
ha contagiato un po' di persone
e vorrei che, nel corso degli anni, contagiasse sempre di più
per far si che le cose possano cambiare in maniera più facile.
È quella la speranza.
Come se lo immagina una persona che
va in una città a trova due mari?
Cosa non si può fare qui?
C'è così tanto che ci si deve chiedere cosa non si può fare,
non cosa si può fare.
Allora, cosa non si può fare credo che bisogna averlo in mente bene tutti:
Non si possono fare più gli stessi errori.