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silenzio condiviso con le parole
presenta
La dimensione spirituale del cancro
Da una settimana so di essere malato di cancro.
Da allora,
fatta eccezione per alcuni istanti di panico e di paura,
ho sentito discendere nel mio essere una profonda quiete e un senso di rilassamento.
Ho semplicemente dato forfait, rinunciando a vivere,
oppure questa è la quiete frutto dell’accettazione?
Abbiamo
già dato
forfait
nel momento stesso
in cui siamo nati,
in quanto la nascita altro non è che l’inizio della morte:
a ogni istante
si morirà un po’ di più.
La morte non viene in un preciso momento,
a settant’anni, la morte arriva:
non è un evento,
è un processo, che inizia con la nascita.
Richiede settant’anni;
può essere lento,
ma è un processo,
non un evento.
E io sottolineo questo fatto, per farti comprendere
che la vita e la morte non sono due fatti separati.
Lo sarebbero,
se la morte fosse un evento
che termina la vita.
Solo così diventerebbero separati,
in antagonismo,
nemici tra loro.
Quando dico che la morte è un processo
che inizia con la nascita,
dico che lo è anche la vita…
che inizia con la stessa nascita
e che queste non sono mai due realtà separate.
È un unico processo:
inizia con la nascita
e termina con la morte.
Ma la vita e la morte sono come le due ali di un uccello,
o due mani, o due gambe.
Perfino il tuo cervello
ha due emisferi,
separati:
quello sinistro e quello destro…
non puoi esistere senza questa dialettica.
La vita è una realtà dialettica.
E se lo capisci,
in te affiora naturalmente un’incredibile accettazione della morte.
Non è qualcosa in antagonismo,
è parte di te:
senza, non potresti essere vivo.
È esattamente simile a uno sfondo,
o a una lavagna su cui si scrive con un gesso bianco:
la lavagna non è ostile al gesso;
si limita
a dargli enfasi,
rilievo.
Senza lo sfondo nero, la scritta bianca scomparirebbe.
È simile al giorno e alla notte:
lo vedi ovunque,
ma continui a comportarti come un cieco.
Senza la notte non esisterebbe il giorno.
E più scendi in profondità in questa realtà dialettica…
è un’esperienza miracolosa.
Senza l’inattività non esisterebbe azione alcuna;
se non ti puoi rilassare,
non puoi agire.
Più ti rilassi,
maggiore sarà la perfezione delle tue azioni.
Sembrano realtà opposte,
non lo sono.
Più profondamente ti dissolvi nel sonno, la notte,
più lucido, più giovane, ti sveglierai al mattino.
E ovunque, nella vita, troverai questo stesso processo dialettico.
I mistici Zen hanno un koan:
chiedono ai discepoli di meditare
sul suono di una mano sola.
È assurdo:
nel battito di una sola mano non può esistere suono alcuno.
Battito con cosa?
Per battere le mani, ne occorrono due;
in apparenza, esse sono opposte tra loro,
ma in profondità creano un unico battito.
Unite nel loro sforzo,
coerenti,
esse non sono in opposizione né in contraddizione tra loro:
sono complementari.
Questa meditazione viene data, in modo tale
da renderti consapevole
che nella vita non puoi trovare un solo esempio
a sostegno del suono che il battito di una sola mano produce.
L’intera esistenza consiste di due mani che applaudono: uomo e donna,
giorno e notte,
vita e morte,
amore e odio.
Più profondamente il discepolo medita…
piano piano si rende conto
che nell’esistenza non è possibile trovare un solo esempio di quel suono.
E il Maestro torna a chiedere: “Lo hai trovato?
Hai sentito il suono di una mano sola?”
Nella mente dei discepoli prendono forma molte idee:
il suono dell’acqua che scorre…
pensano che possa essere questo!
E corrono dal Maestro per dirgli:
“L’ho trovato: il suono dell’acqua che scorre!”
E il Maestro dà loro un gran colpo in testa con la sua bacchetta:
“Idiota! Non è questo, il suono di una mano sola.
C’è ancora una dualità: prova, vai a vedere.
Le rocce che spuntano nell’acqua
creano un suono;
non è il suono dell’uno…
il suono è sempre della dualità”.
Di fatto, non può esistere il suono dell’uno…
così, frustrati, dopo migliaia di tentativi,
tutte le risposte del discepolo, sono respinte.
Finché giunge alla comprensione
che il suono è sempre prodotto da due cose.
Il silenzio è il suono dell’uno;
solo il silenzio può essere la risposta. Non è un battito.
Ma attraversare questo processo,
per giungere al silenzio…
e viene il giorno in cui il discepolo va dal maestro,
e il maestro chiede: “Lo hai sentito?”
E il discepolo si inchina ai suoi piedi, piangendo di gioia.
Non può neppure dire: “Sì, l’ho trovato!”
Non sarebbe
giusto:
egli non ha trovato il silenzio;
al contrario,
è scomparso nel silenzio.
Non è una scoperta,
è un dissolversi.
Il discepolo non esiste più.
Esiste solo il silenzio.
Ora, chi è presente per dire:
“Ho trovato la risposta”?
Ecco perché quelle lacrime di gioia
e quel chinarsi a terra riconoscenti a toccare i piedi del Maestro.
E il Maestro dice: “Non ti preoccupare, comprendo…
non preoccuparti per la tua incapacità a esprimerlo… nessuno può farlo.
Ecco perché, a volte, quando sei
corso da me con una risposta,
ancor prima che tu parlassi, ti colpivo
con la mia bacchetta e ti dicevo di tornare a meditare.
Tu eri perplesso: ancora non avevi detto nulla,
e già ti avevo scacciato…
Ora, lo puoi capire.
Il problema non è quale risposta sia vera e quale falsa:
tutte le risposte sono false.
Solo il silenzio…
che è una presenza esistenziale,
e non una risposta intellettuale, è la giusta risposta”.
Sei fortunato
a sapere che morirai tra sette giorni,
che hai il cancro.
Tutti sono malati di cancro,
ma alcuni sono veri fannulloni!
Tu vai veloce, all'americana!
La maggior parte delle persone, è “indiano”:
perfino per morire, prenderanno tempo.
Sono sempre in ritardo…
e perdono sempre il treno.
Dico che è una benedizione per te saperlo,
perché tutti moriranno,
ma poiché non si sa
né quando, né dove,
si continua a vivere con l’illusione che si vivrà per sempre:
si vedono sempre
morire gli altri.
Logicamente, questo fa da sostegno all’idea che siano sempre gli altri a morire, “io non muoio mai”.
Devi aver visto morire molte persone,
e questo deve averti dato un forte sostegno,
una base razionale per dire che muoiono sempre solo gli altri.
E quando muori tu,
non lo saprai mai,
cadrai nell’incoscienza…
e ti lascerai sfuggire l’opportunità di conoscere la morte.
Coloro che hanno conosciuto la morte,
sono unanimi nel dire che è la più grande esperienza orgasmica della vita.
Ma la gente muore inconsapevole.
È un bene che esistano malattie
che permettano di prevedere la fine.
Il cancro
significa semplicemente che hai saputo sette giorni prima
– o sette mesi, qualunque sia il tempo che ti rimane –
che la morte si avvicina a ogni istante…
Quei “sette giorni”,
non a tutti vengono concessi.
Il cancro sembra essere
qualcosa che hai ottenuto nella tua vita precedente,
perché J. Krishnamurti è morto di cancro,
Ramana Maharshi è morto di cancro,
Ramakrishna è morto di cancro.
Strano… tre illuminati,
che non sono figure mitologiche, che sono vissuti di recente,
sono morti di cancro.
Sembra essere qualcosa di spirituale!
Di certo possiede una dimensione spirituale…
Non dico che tutti coloro che muoiono di cancro
siano esseri illuminati,
ma si possono illuminare con maggior facilità di chiunque altro,
perché gli altri continuano a vivere con l’illusione che continueranno a vivere;
che non c’è fretta…
la meditazione può essere rinviata.
Domani, dopodomani,
che fretta c’è?
E ci sono cose molto più urgenti
che vanno fatte oggi.
La meditazione non è mai urgente perché la morte non è mai impellente.
Per un uomo che viene a sapere che
il cancro lo finirà in sette giorni,
tutto, nella vita, diventa insignificante.
Ogni altra urgenza scompare:
pensava di costruire uno splendido palazzo;
questa idea scompare.
Pensava di candidarsi alle prossime elezioni;
questa idea svanisce completamente.
Si preoccupava per la terza guerra mondiale; ora non se ne preoccupa più.
Non ha più alcuna importanza: ciò che accadrà dopo di lui, non è più importante…
egli ha solo sette giorni da vivere!
Se è anche solo un po’ attento, può vivere in quei sette giorni settant’anni, o settecento anni,
o l’intera eternità,
perché ora la meditazione diventa una priorità,
l’amore diventa una priorità…
danzare, gioire,
sperimentare la bellezza,
cose che prima non avevano alcuna urgenza.
Questa settimana, la luna piena sarà una priorità,
perché non la vedrà mai più:
questa è la sua ultima notte di luna piena.
Ha vissuto per anni.
Le lune sono venute e se ne sono andate,
senza che se ne preoccupasse mai; ma ora, deve prendere la cosa con serietà:
questa è l’ultima luna,
questa è l’ultima opportunità per amare,
questa è l’ultima occasione per essere,
questa è l’ultima occasione di sperimentare
tutto ciò che di bello esiste nella vita.
E non ha più energia per andare in collera,
per lottare.
Può rimandare queste cose: “Tra una settimana
ci rivedremo in tribunale,
ma questa settimana lasciatemi a riposo”.
Certo, all’inizio ti sentirai triste e disperato:
la vita ti sfugge di mano…
ma ad ogni istante, la vita sfugge di mano a chiunque, che lo sappia o no.
Sfugge di mano a tutti, che ne siano coscienti o incoscienti:
tu sei fortunato a saperlo.
Mi viene in mente
un grande mistico, Eknath.
Per anni, un uomo andò da lui.
Un giorno, si presentò all’alba, quando nessun altro era presente
e chiese a Eknath: “Perdonami,
sono venuto a quest’ora, perché non c’è nessuno.
Voglio farti una domanda che ti ho sempre voluto porre,
ma che mi ha sempre imbarazzato, per cui l’ho sempre rimossa”.
Eknath disse: “Non c’è ragione di sentirsi imbarazzati.
Avresti potuto porre qualsiasi domanda, in qualsiasi momento lo volessi…
siediti qui, con me!”
Così, si sedettero nel tempio.
E l’uomo proseguì: “Mi è difficile… non so come esporre il mio interrogativo.
Per anni, sono venuto da te,
e non ti ho mai visto triste
o frustrato.
Non ti ho mai visto ansioso,
né preoccupato.
Sei sempre felice, sempre appagato, sempre soddisfatto.
Stento a credere a ciò che vedo…
la mia mente, che dubita sempre, dice: 'Quest’uomo finge'.
Ho lottato per anni, dicendo alla mia mente che non è possibile continuare a fingere per anni e anni:
'Se lui finge, prova a farlo anche tu!'
E così ho provato; per cinque, al massimo sette minuti… poi me ne sono dimenticato.
Sorgono le preoccupazioni, la rabbia, la tristezza,
e se non c’è nessuno, arriva mia moglie!
E ogni finzione svanisce!
Come fai,
giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno?
In te ho sempre visto la stessa gioia, la stessa grazia.
Ti prego di perdonarmi,
ma in me persiste il dubbio che tu finga. Forse è perché non hai una moglie:
questa sembra essere la sola differenza tra me e te!”
Eknath disse: “Per favore, mostrami la tua mano”.
Prese la mano dell’uomo nelle sue, la guardò, si fece molto serio.
L’uomo chiese: “Qualcosa non va?
Cosa succede?” Si scordò completamente il suo dubbio e la possibile finzione di Eknath.
Eknath disse: “Prima che io inizi a rispondere alla tua domanda,
di sfuggita, vorrei dirti che la linea della tua vita è finita…
ancora sette giorni…
te lo voglio dire, perché potrei dimenticarmene.
Quando inizierò a rispondere alla tua domanda, potrei dimenticarmene…”.
L’uomo sobbalzò: “Quell’interrogativo non è più importante,
né mi interessa più la risposta.
Aiutami ad alzarmi”.
Era un giovane…
per cui, Eknath stupì: “Non riesci ad alzarti?”
Disse: “Sento di non avere più energia.
Solo sette giorni, e avevo tanti progetti…
tutto va all’aria.
Aiutami!
La mia casa non è lontana,
aiutami a raggiungerla”.
Eknath disse: “Puoi andarci da solo.
Puoi camminare, sei venuto qui a piedi, pochi secondi fa stavi benissimo!”
Ma l’uomo a stento riusciva a reggersi:
era come se tutta la sua energia fosse stata risucchiata.
E mentre scendeva le scale,
si poteva notare che all’improvviso era invecchiato,
si aggrappava alla ringhiera…
e per la strada, dava l’impressione
che potesse cadere a ogni passo,
camminava come un ubriaco…
in qualche modo arrivò a casa.
Tutti si stavano alzando; era l’alba… lui andò a dormire.
Tutti chiesero: “Cosa succede? Sei malato, non stai bene?”
Disse: “Ora neppure la malattia importa più. Stare bene o male, non ha più importanza.
La linea della mia vita è finita: ho solo sette giorni.
Oggi è domenica… domenica prossima, al tramonto, me ne sarò andato.
Già sono finito!”
Sulla casa, cadde la tristezza.
I parenti si raccolsero intorno a lui,
gli amici... perché Eknath non aveva mai mentito, era un uomo di verità.
Se lo aveva detto, la morte era certa.
Il settimo giorno, poco prima del tramonto del sole…
e la moglie piangeva, i bambini piangevano, e i fratelli piangevano,
e il vecchio padre e la vecchia madre... era entrato in coma.
Eknath arrivò e tutti gli dissero:
“Sei arrivato al momento giusto. Benedicilo… sta partendo per un viaggio nell’ignoto”.
In sette giorni quell’uomo era molto cambiato;
perfino Eknath dovette fare uno sforzo per riconoscerlo.
Era uno scheletro.
Eknath lo scosse; l’altro riuscì in qualche modo ad aprire gli occhi.
Eknath disse: “Sono venuto a dirti
che non stai affatto morendo. La linea della tua vita è ancora abbastanza lunga.
Ti ho detto che saresti morto in sette giorni, per rispondere alla tua domanda:
quella era la mia risposta”.
L’uomo balzò in piedi. Disse: “Quella era la tua risposta? Mio Dio!
Mi stavi uccidendo.
Guardavo fuori dalla finestra, in attesa del tramonto, aspettando di morire”.
E tutti si rallegrarono…
ma l’uomo chiese: “Che risposta è mai questa?
Queste risposte possono uccidere la gente…
sembri avere un istinto omicida!
Noi crediamo in te, e tu sfrutti la nostra fede”.
Eknath disse: “Tranne quella risposta, nulla avrebbe potuto essere d’aiuto.
Sono venuto a chiederti: in questi sette giorni
hai litigato con qualcuno, sei andato in collera con qualcuno?
Sei andato in tribunale? È lì che lavori, no?
Ti si trova in tribunale ogni giorno."
Era un uomo di quel genere,
quello era il suo lavoro:
anche per gli assassini era disposto a fare il testimone oculare: bastava pagarlo a sufficienza.
In un caso di omicidio era testimone oculare in tribunale,
e la corte sapeva che quest'uomo non poteva aver visto ogni cosa:
era un testimone di professione.
Un giudice chiese: "A che distanza ti trovavi quando è successo l'omicidio?"
Lui rispose: "Cinque metri e trentatré centimetri."
Il giudice ribatté: "Bene! Quindi significa
che hai misurato la distanza tra te e l'uomo che è stato ucciso?"
Rispose: "Sì, perché ho pensato che qualche idiota o chissà chi altro avrebbe posto la domanda,
quindi era meglio essere preparati.
Ho misurato centimetro per centimetro: erano esattamente cinque metri e trentatré centimetri."
Era il suo lavoro.
Eknath gli chiese: “Cos’è accaduto al tuo lavoro?
In sette giorni, quante volte sei stato testimone oculare di qualcosa?
Quanto hai guadagnato?”
Rispose: “Di cosa parli?
Non mi sono mosso dal letto. Non ho mangiato:
non avevo appetito, non avevo sete;
ero semplicemente
morto.
Non sentivo energie, non sentivo vita alcuna in me”.
Eknath disse: “Adesso alzati,
è ora:
fatti un bel bagno, fatti una bella mangiata…
domani devi essere in tribunale.
Riprendi il tuo lavoro…
E io ho risposto alla tua domanda; perché, da quando
ho preso coscienza che tutti devono morire…
e la morte può arrivare domani…
tu hai avuto sette giorni. Io non ho neppure quelli!
Domani posso non veder sorgere il sole:
non ho tempo per cose stupide,
per stupide ambizioni,
per l’avidità,
la rabbia, l’odio; non ho semplicemente tempo,
perché domani posso non essere qui.
In questo breve lasso di vita,
mi è possibile solo godere le bellezze dell’esistenza,
le bellezze degli esseri umani:
se posso condividere il mio amore,
se posso condividere i miei canti…
forse la morte non sarà tanto dura con me!”
Ho sentito dire dagli antichi
che coloro che sanno come vivere, imparano automaticamente come morire.
La loro morte è qualcosa di bello,
perché essi muoiono solo esteriormente; all’interno, il viaggio della vita continua.
Il tuo aver saputo che hai il cancro,
di certo sarà uno shock, porterà tristezza e disperazione.
Ma sei un mio sannyasin:
devi mutare questa occasione
in una profonda trasformazione dell’essere.
Questi pochi giorni in cui starai qui,
dovrebbero essere giorni di meditazione, d’amore, di compassione,
di amicizia,
di gioco,
di risate;
e se riesci a fare questo,
verrai ricompensato con una morte cosciente. Questa è la ricompensa per una vita cosciente.
Una vita vissuta nell’incoscienza, termina con una morte inconsapevole.
Una vita conscia, viene ricompensata dall’esistenza con una morte consapevole.
E morire coscienti significa conoscere la suprema esperienza orgasmica della vita,
e al tempo stesso conoscere che nulla muore,
solo le forme cambiano.
Stai traslocando in una nuova dimora;
ovviamente sarà migliore,
a un livello di consapevolezza superiore:
usa questa occasione
per crescere.
E la vita è assolutamente giusta, onesta:
qualsiasi cosa consegui,
non la perdi mai più;
ne vieni ricompensato.
Accetta il fatto che la morte è semplicemente parte della tua vita,
e accetta il fatto che averlo saputo in anticipo è un bene.
Altrimenti, la morte verrà e tu non riuscirai a udirne i passi…
il suono della morte che si avvicina.
Per questo, dico che sei fortunato: la morte ha bussato alla tua porta, con sette giorni di anticipo.
Usa questi giorni, in profonda accettazione.
Rendili il più gioiosi possibile:
fai di questi sette giorni, sette giorni di risate.
Muori con lo scherzo scolpito sul volto:
il sorriso, il senso di gratitudine,
la gratitudine per tutto ciò che la vita ti ha dato.
E ti dico questo: la morte è una finzione.
Non esiste morte, perché nulla muore mai, le cose si limitano a cambiare.
E se sei consapevole, puoi farle cambiare in meglio.
È così che avviene l’evoluzione.
È così che un uomo inconsapevole diventa un Gautama il Buddha.
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