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Benvenuti al "Meglio del Congresso annuale ESC 2012",
dove potrete conoscere e discutere i punti salienti del nostro congresso.
Colgo però anche l'occasione per presentare un nuovo concetto, chiamato "Congresso ESC 365".
Il "meglio di" è il primo passo per una ridefinizione dei contenuti scientifici del congresso annuale dell'ESC
per chiunque di voi non abbia potuto essere presente a Monaco.
vrete ampie possibilità e svariati strumenti per poter conoscere il meglio dei contenuti di Monaco 2012.
Vi rinnovo, quindi, il mio benvenuto al "Meglio di Monaco 2012".
Un programma sovvenzionato da AstraZeneca e SERVIER in forma di finanziamento scientifico non vincolante.
Ho il grande piacere di darvi il benvenuto.
Mi chiamo Keith FOX e sono attualmente presidente del Comitato per il Programma del Congresso della Società Europea di Cardiologia.
Insieme alla mia collega e co-moderatrice Barbara CASADEI, coordinerò un gruppo di esperti che vi illustrerà il meglio di ESC 2012.
Il congresso di Monaco 2012 è appena terminato,
ma ne abbiamo qui raccolto le parti essenziali, concentrandoci sugli studi e sulle idee di maggiore interesse per la vostra pratica clinica.
Questo programma di 60 minuti è estremamente semplice:
si tratta di un programma interattivo ideato per presentare alcuni brevi filmati che riassumono gli aspetti più importanti del congresso,
selezionati dal nostro gruppo di esperti.
Discuteremo quindi tali aspetti, interagendo anche con voi del pubblico, per rispondere alle vostre domande e porvi alcune domande a nostra volta.
Ecco ora i nostri cinque esperti europei: Jeroen BAX (Olanda), Helmut GOHLKE (Germania),
Kurt HUBER (Austria), Steen KRISTENSEN (Danimarca) e Christophe LECLERCQ (Francia).
Benvenuti.
E infine, lasciate che vi presenti il non meno importante Ricardo FONTES-CARVALHO, del Portogallo,
che svolgerà il difficile compito di coordinare le vostre domande.
Passiamo ora al primo argomento, che riguarda l'inibizione delle piastrine e la terapia anticoagulante.
A questo proposito, illustreremo due importanti studi clinici,
che sono stati presentati nella sezione "ESC Hot Lines" del congresso.
Il primo studio, chiamato Trilogy-ACS,
confronta clopidogrel e prasugrel nel contesto di pazienti con sindrome coronarica acuta non rivascolarizzata.
Il secondo è lo studio WOEST,
che opera un confronto tra singola e doppia terapia antipiastrinica in soggetti sottoposti a trattamento anticoagulante ed all'impianto di uno stent.
Nello studio TRILOGY-ACS sono stati arruolati più di 9.000 pazienti con sindrome coronarica acuta,
gestita senza rivascolarizzazione.
I pazienti sono stati randomizzati per ricevere, oltre all'aspirina, 75 mg giornalieri di clopidogrel o 5-10 mg giornalieri di prasugrel.
Il follow-up mediano è stato di 17 mesi.
Abbiamo ipotizzato che il prasugrel riducesse il tempo al primo evento di morte cardiovascolare, infarto del miocardio o ictus.
Ciò che abbiamo scoperto è che, sebbene vi fosse una differenza assoluta del 2% a favore del prasugrel, essa non raggiungeva una significatività statistica.
In effetti, non abbiamo riscontrato un incremento nella percentuale di emorragie gravi o letali per l'intera durata della terapia,
che è stata molto più lunga rispetto a gli studi precedenti.
Nello studio WOEST, 573 pazienti che ricevevano già anticoagulanti orali ed erano stati sottoposti a stenting coronarico,
sono stati randomizzati per una doppia terapia, basata sull'aggiunta del solo clopidogrel,
o per una tripla terapia, basata sull'aggiunta di clopidogrel e aspirina alla terapia anticoagulante orale.
Dopo un anno nel gruppo della tripla terapia, il 44,9% di pazienti ha subito almeno un evento emorragico.
Nel gruppo della doppia terapia, gli episodi emorragici erano significativamente inferiori, con una percentuale complessiva del 19,5%.
Come previsto, il clopidogrel e gli anticoagulanti orali provocano meno sanguinamenti rispetto alla tripla terapia antitrombotica.
È stato soddisfatto anche l'endpoint secondario.
Nel gruppo della doppia terapia non abbiamo osservato un livello eccessivo di eventi trombotici o tromboembolici,
e abbiamo rilevato persino un tasso di mortalità per tutte le cause significativamente più basso.
Mi rivolgo ora al nostro gruppo di esperti, iniziando da Steen KRISTENSEN.
Sappiamo, da studi precedenti, che il prasugrel è più efficace del clopidogrel, specialmente in contesti chirurgici, e tuttavia non ha ottenuto gli effetti previsti.
Steen, a cosa pensi che sia dovuto?
Certo, anch'io l'ho trovato abbastanza sorprendente, e credo che, naturalmente, l'unica risposta sia che non ne conosciamo il motivo.
Si potrebbe ipotizzare che, effettuando una randomizzazione dei pazienti in una fase precedente,
si verifichi un maggior numero di eventi precoci subito dopo l'ACS, facendo perdere alcuni benefici terapeutici.
Un'altra possibilità potrebbe essere che i pazienti studiati non fossero veramente tutti pazienti ad alto rischio.
D'accordo, quindi non tutti pazienti ad alto rischio.
Kurt, tu hai una grande esperienza di interventi chirurgici e di questo tipo di pazienti post-ACS.
Si tratta però di un gruppo che non subisce interventi, perché presentano malattia diffusa o lesioni non indicate per un'operazione.
Qual è la tua esperienza di questo gruppo?
Allora, in genere crediamo che questi pazienti siano esposti a un alto rischio di nuovi eventi ischemici nel periodo di follow-up.
Abbiamo osservato questi eventi anche nei pazienti dello studio TRILOGY, che era proprio uno studio basato sugli eventi.
D'altra parte, se confrontiamo i dati con quelli di altri studi, relativi soprattutto a pazienti trattati in modo conservativo, come lo studio PLATO,
il comparatore, cioè il gruppo del clopidogrel,
presentava un tasso di mortalità molto più elevato, persino doppio (8% contro 4%) rispetto all'attuale studio TRILOGY.
Esiste perciò una certa differenza nel tipo di eventi, e credo che la mortalità sia un fattore molto importante.
Personalmente ritengo che, sebbene si siano verificati svariati eventi,
il gruppo nel suo complesso non fosse veramente ad alto rischio.
E ciò emerge indirettamente, ad esempio,
nello studio PLATO, dove circa il 40% dei pazienti è stato passato a un trattamento principalmente non conservativo,
cioè è stato sottoposto a intervento. Nello studio TRILOGY, invece, ciò è accaduto solo per il 7% dei pazienti.
È un buon risultato per lo studio, ma indica indirettamente che quei pazienti non erano così ad alto rischio come si pensava.
Oppure potrebbe indicare che sono stati selezionati appositamente i pazienti non idonei per la rivascolarizzazione.
Certo, anche questa è una possibilità.
Steen, e riguardo ai soggetti che presentavano più di un evento?
Sì, in quel caso sono stati effettivamente riscontrati degli effetti con la terapia più potente,
ma anche qui si tratta di un'analisi di sottogruppo, che va considerata con cautela.
Christophe LECLERCQ, tu hai un'ottima esperienza in questo campo.
Abbiamo anche visto che, dopo un anno, le curve sembrano divergere.
Si tratta soltanto di pura casualità oppure credi che sia un effetto reale?
Dunque, anche in questo caso non lo sappiamo: può trattarsi di casualità o può anche essere che,
in questa popolazione ad alto rischio, gli eventi si verifichino dopo un tempo superiore a un anno.
Credo perciò che un follow-up più lungo per questi pazienti potrebbe essere interessante.
embra, però, Jeroen, che qui il messaggio di fondo per i colleghi specialisti sia che non abbiamo prove sufficienti per sostituire il prasugrel al clopidogrel
nei soggetti trattati con strategia conservativa e per i quali l'intervento non è ritenuto opportuno.
Condividi anche tu questa interpretazione?
Credo che sia molto corretta.
In effetti, il messaggio è proprio quello, stando almeno ai dati di cui disponiamo finora.
Vorrei ora approfondire i risultati dello studio WOEST,
che riguarda un'area in cui non abbiamo una grande quantità di prove, e questo è ovviamente un problema.
Questo studio evidenzia una riduzione dei sanguinamenti del livello da minore a moderato,
nonché nessuna differenza nelle emorragie intracraniche tra i pazienti con tripla terapia e quelli con doppia terapia.
Si tratta solo di 500 pazienti circa, un numero non molto ampio per dimostrare la non superiorità di uno dei due trattamenti.
È sufficiente per cambiare la nostra pratica?
Credo che sia un ottimo studio, e che ci dia nuove informazioni molto importanti.
D'altro canto, vorrei vedere un maggior numero di studi in questo campo.
È anche vero che lo studio era incentrato principalmente sui sanguinamenti locali e su quelli minimi.
Non dico certo che questi aspetti non siano importanti, anche perché a volte,
in effetti noi interrompiamo la nostra terapia antitrombotica non appena riscontriamo un sanguinamento minimo.
Si tratta perciò di uno studio davvero eccellente.
E inoltre, con una certa sorpresa, ha evidenziato, come endpoint secondario, una riduzione della mortalità.
Perciò è uno studio molto interessante.
In ogni caso, probabilmente inizieremo a utilizzare warfarin e clopidogrel in diversi dei nostri pazienti, ma penso non in tutti.
Credo che dovremo leggere attentamente i documenti dello studio.
Infatti, potrebbero esserci alcuni sottogruppi, come ad esempio i pazienti con STEMI, che non sono stati inclusi in questo studio.
Kurt, so che eri molto preoccupato dal fatto che, in alcuni casi,
la durata del trattamento potrebbe essere stata più lunga di quanto consigliato in alcuni dei documenti guida.
Sì, soprattutto nello studio WOEST,
i pazienti che hanno ricevuto uno stent a eluizione di farmaco sono stati trattati con tripla terapia per 12 mesi.
Ciò contrasta con le raccomandazioni di due documenti programmatici pubblicati di recente: uno in Europa nel 2010 e uno in Nord America nel 2011.
In questi documenti si stabilisce che i pazienti stazionari che ricevono uno stent a eluizione di farmaco
debbano essere trattati con tripla terapia solo per un periodo da 3 a 6 mesi.
Perciò, una tripla terapia di 12 mesi può sicuramente spiegare il rischio molto elevato di complicazioni emorragiche,
mentre un trattamento più breve avrebbe evidenziato risultati diversi.
Anche se, come ha detto Barbara, si trattava soprattutto di sanguinamenti minori o moderati,
esiste un rapporto tra questo aspetto e quello degli esiti, come è stato evidenziato da altri studi.
Tra l'altro, si verificano svariati sanguinamenti gastrointestinali, e non possediamo informazioni sulla protezione gastrica di questi pazienti.
Credi che anche questo fattore possa aver influito?
Sappiamo, comunque, che potrebbe essere stato sopravvalutato.
Allora, si tratta soltanto di un'ipotesi, che però va sicuramente approfondita,
anche se finora non esiste un numero di pazienti sufficiente per rispondere in modo chiaro alla questione.
Tuttavia, uno degli aspetti più significativi sta nel fatto che,
se si elimina l'aspirina e si svolge la terapia antitrombotica solo con un antagonista della vitamina K e il clopidogrel,
si ottengono dei risultati molto interessanti. Ciò potrebbe rivelarsi molto utile per la pianificazione di studi futuri.
Ad esempio, nei pazienti con ACS e fibrillazione atriale, non sappiamo esattamente quale sia la scelta migliore.
Da un lato, la doppia terapia potrebbe essere estremamente importante in questi casi.
D'altro canto, però, è stato molto difficile, finora, escludere l'aspirina, dato che i comitati etici non consentono studi di questo tipo.
Approfondiamo allora questo aspetto per una prospettiva futura, in modo che sia presto possibile non includere l'aspirina automaticamente.
Sì, questo è di estrema importanza.
Allora, Ricardo, al momento ci sono domande da parte del pubblico?
Sì, Keith, stanno arrivando davvero moltissime domande, e da persone di ogni parte del mondo.
Inizio con un commento che, secondo me, riassume perfettamente l'obiettivo di questa sessione:
viene dal Marocco e dice: "La bellezza del sapere sta nel poterlo condividere". Credo che sia un commento molto importante.
Quindi, la prima domanda che vorrei presentare riguarda un'analisi di sottogruppo su pazienti che assumevano i PPI nello studio TRILOGY,
se cioè esistono prove di un'interazione con il clopidogrel. Inoltre abbiamo una domanda anche sullo studio WOEST.
Chi risponde sui PPI?
Ci penso io.
Disponiamo di dati controversi, secondo cui l'azione del clopidogrel verrebbe contrastata nei pazienti che assumono inibitori della pompa protonica,
ma non tutti gli studi mostrano gli stessi risultati.
Si tratta di un aspetto interessante,
erché sembra che i pazienti trattati con prasugrel ottengano maggiori benefici rispetto ai pazienti trattati con clopidogrel.
Indirettamente, ciò indicherebbe di nuovo che il clopidogrel venga in qualche modo neutralizzato dagli inibitori della pompa protonica.
Tuttavia, si tratta comunque di un'ipotesi, per di più relativa a un'analisi di sottogruppo, benché basata su risultati molto interessanti.
So che stanno arrivando molte altre domande,
ma dobbiamo lasciare spazio agli altri argomenti, perciò passiamo senz'altro all'argomento successivo.
Il nuovo argomento è incentrato sulle aritmie e la fibrillazione atriale, riguardo alla necessità di sostituire il warfarin con nuovi anticoagulanti nelle linee guida,
che quest'anno sono state perciò aggiornate.
Inoltre discuteremo di alcune questioni sull'implementazione di test genetici nei pazienti a rischio di morte cardiaca improvvisa.
Nelle nuove linee guida consigliamo di utilizzare il punteggio CHADS--VASc anziché il punteggio CHADS 2.
Crediamo infatti che il nuovo punteggio consenta una migliore distinzione
tra i pazienti riguardo al rischio di ictus o embolia sistemica.
Esiste effettivamente un unico ruolo specifico per l'aspirina, e riguarda il caso in cui il paziente rifiuti di assumere ogni tipo di anticoagulante orale.
Le linee guida aggiornate indicano chiaramente
che è possibile utilizzare gli antagonisti della vitamina K oppure l'inibitore del fattore II o del fattore Xa.
Gli autori delle linee guida consigliano di utilizzare uno dei nuovi agenti: dabigatran, rivaroxaban o apixaban,
al posto degli antagonisti della vitamina K nella maggior parte dei pazienti.
Il campo della ricerca sulle aritmie ereditarie e sulla predisposizione alla morte cardiaca improvvisa ha ora raggiunto una fase più matura.
Il polimorfismo dei canali del ferro, del calcio deregolato dalle proteine ed anche di proteine dal ruolo finora sconosciuto,
è un fattore che contribuisce alla predisposizione alla morte cardiaca improvvisa.
Ci stiamo avvicinando molto rapidamente all'utilizzo clinico di questi marcatori, che, naturalmente, di per se stessi non saranno sufficienti a prevedere il rischio,
ma, uniti alle varianti cliniche potranno aiutare i medici a identificare i pazienti soggetti a un maggior rischio di morte cardiaca improvvisa.
A proposito delle linee guida, di cui abbiamo appena visto una breve panoramica, avrei una domanda per Christophe.
Riguarda il versante inferiore del punteggio CHADS--VASc, cioè il punteggio pari a zero. Cosa dicono le linee guida in proposito, Christophe?
Credo che le linee guida sottolineino soprattutto il fatto che,
per valutare il rischio di embolia, si debba utilizzare d'ora in poi il punteggio CHADS--VASc e non il punteggio CHADS,
e questo è il primo messaggio.
Il messaggio principale è poi che,
per i pazienti con punteggio CHADS--VASc pari a 0,
non esistono indicazioni per una terapia anticoagulante né antitrombotica.
Perciò i pazienti con questo punteggio non avranno bisogno di ricevere nulla per la prevenzione dell'embolia.
E neppure l'aspirina potrebbe essere loro di grande aiuto. Anzi, come abbiamo visto, li espone al rischio di sanguinamenti.
Esatto, perché non ci sono prove che l'aspirina riduca il rischio di embolia, che è molto basso,
mentre sappiamo che l'aspirina aumenta il rischio di sanguinamenti.
Vorrei ora porre al gruppo una domanda generale, relativa alla gestione futura di questi pazienti.
Sappiamo che viene consigliato lo screening della mutazione più comune di QT lungo da 1 a 3,
a causa del suo impatto sulla gestione dei pazienti e dei loro familiari.
Abbiamo poi appena visto che la professoressa Priori sostiene l'utilità dello screening dei polimorfismi.
Cosa ne pensa il gruppo al riguardo?
Aggiungo inoltre che questo stesso orientamento riguarda anche le cardiopatie ischemiche,
per le quali è stato appoggiato da alcuni ma non da altri. Si tratta perciò di un argomento stimolante e di grande interesse.
Forse possiamo chiedere a Helmut. Sappiamo che, nello studio INTERHEART, il fenotipo determinava il rischio in proporzione molto ampia.
Dobbiamo allora ricercare i polimorfismi?
Al momento siamo riluttanti a utilizzare questa strategia per i singoli pazienti,
e attendiamo ancora degli studi in cui sia possibile modificare gli esiti utilizzando questo nuovo metodo diagnostico. Perciò, finora siamo molto cauti.
Lo stesso discorso vale per la farmacogenetica. I dati genetici dello studio RELY
hanno effettivamente evidenziato l'impatto di alcune varianti comuni sul rischio in pazienti che assumevano dabigatran.
Ora, visto che questi metodi di screening sono già disponibili
e che si propugna fortemente una medicina personalizzata, dobbiamo supporre che questo nuovo indirizzo influenzerà anche le linee guida?
Ecco, credo che, al momento, per la maggior parte degli argomenti discussi non abbiamo evidenze sufficienti.
Credo che, per poter modificare le linee guida in base a un dato orientamento, dobbiamo disporre delle prove più sicure.
Ad esempio, mancano finora gli studi sugli esiti, come è stato già osservato prima.
Perciò, secondo me, occorre molta cautela prima di dare un messaggio di questo tipo, e credo che chiamare in causa le linee guida sia prematuro,
almeno finché non saranno disponibili degli studi sugli esiti.
Abbiamo visto che queste varianti influiscono sull'assorbimento e la gestione di determinati anticoagulanti.
Quindi, sappiamo che si tratta di una scelta difficile.
È ancora presto, allora, per un posto d'onore della genetica nelle linee guida, ma abbiamo forse delle alternative.
Cosa ne pensi Kurt?
Innanzitutto, devo dire che, se potessimo davvero individuare caso per caso i pazienti
che non assorbono un determinato farmaco e avessimo altre possibilità,
allora io non percorrerei la strada dei test, ma mi concentrerei sulle possibili alternative, se ve ne fossero.
noltre cercherei di stabilire se queste alternative sono costose,
il che è davvero un aspetto importante: accerterei, ad esempio, se i nuovi metodi sono molto più dispendiosi dei comparatori o se sono facilmente utilizzabili.
Alcuni pazienti hanno una certa esitazione ad assumere le statine, temendo di contrarre una miopatia.
È possibile sottoporre a screening ed escludere la maggior parte di questi pazienti dalla base di questo screening.
Io mi chiedo: abbiamo bisogno dei dati sugli esiti anche a questo riguardo oppure questa situazione è preferibile dal punto di vista del paziente?
Oppure attendiamo lo sviluppo dei sintomi?
Potrebbe essere un'altra soluzione.
Cosa occorrerebbe fare, Helmut,
riguardo all'uso delle statine?
Credo che le statine non abbiano effetti collaterali catastrofici.
Per questo vale la pena provarle, perché offrono un beneficio enorme ai pazienti con patologie coronariche,
come è stato ampiamente accertato in più di 1.700 pazienti randomizzati.
Quindi, non bisogna rinunciare a questo beneficio. Se mai, qualora si avesse notizia che nella famiglia del paziente è già presente una miopatia,
si potrebbe iniziare con una dose molto bassa, osservando i risultati e la tolleranza del paziente per il farmaco.
Quindi si potrebbe continuare, magari anche aumentando la dose.
Ma un messaggio importante per la pratica clinica è che studi su larghissima scala hanno dimostrato una bassa frequenza della miopatia.
Quando però il farmaco viene utilizzato nella pratica clinica, i pazienti accusano ogni tipo di dolori,
attribuendone la causa al trattamento, mentre spesso non è così.
Sì, mi riferivo soprattutto ai pazienti con un'anamnesi familiare di miopatia o che presentano altri tipi di disturbi miopatici.
In questi due casi occorre certamente una grande cautela.
Ricardo, ci sono domande dal nostro pubblico esterno?
Sì, stanno arrivando diverse domande.
Ad esempio, ne ho due molto interessanti, una delle quali da Israele.
Solo due domande interessanti?
Ce ne sono certamente più di due, ma ho dovuto sceglierne alcune.
Avanti: sono curioso.
Una domanda interessante, che viene da Israele, è la seguente:
"Le autorità sanitarie sono pronte ad accettare i nuovi anticoagulanti orali dal punto di vista finanziario?".
Domanda difficile.
Certo, domanda difficile:
le autorità sanitarie sono disposte ad accettare i nuovi agenti?
Cosa accade in Danimarca?
Sì, in Danimarca, le autorità sanitarie stanno accettando e rimborsando questi farmaci.
Naturalmente, questa operazione non riguarda solo il prezzo dei farmaci, perché,
ovviamente, i nuovi farmaci sono molto più costosi del warfarin, ma anche il controllo e la verifica dei valori INR, che pure hanno un costo elevato.
Attualmente, nel nostro paese vengono rimborsati sia il dabigatran che il rivaroxaban, e probabilmente lo sarà presto anche l'apixaban.
La stessa cosa avviene nel nostro sistema sanitario, dove questi farmaci sono consigliati dal NICE, dato che soddisfano i criteri.
Possiamo perciò ritenere di aver dato una risposta positiva.
Ed ora, Ricardo hai altre domande?
Sì, altre due domande, ma ne ho scelta una sola, che è: "Qual è attualmente il ruolo della chiusura dell'appendice atriale sinistra nella fibrillazione atriale"?
Domanda impegnativa: appendice atriale sinistra.
Christophe, qual è, al momento la situazione su questo versante?
Credo che, recentemente, le linee guida abbiano incluso per la prima volta la chiusura dell'appendice atriale sinistra, che finora non ne aveva fatto parte.
Si tratta solo di una piccola indicazione,
nei pazienti che presentano una controindicazione definitiva per gli antagonisti della vitamina K o per i nuovi anticoagulanti,
e che sono soggetti a un alto rischio di eventi trombotici.
È un'indicazione di tipo IIb, perciò non molto importante, ma credo che sia un buon inizio per questa terapia.
Naturalmente, abbiamo bisogno di un maggior numero di studi clinici finalizzati a valutare attentamente i benefici e i rischi di questa tecnologia invasiva,
soprattutto per i pazienti refrattari alla terapia anticoagulante.
Refrattari o che non possono assumere anticoagulanti, ma che sono a rischio di embolia.
Ora passiamo ad altro.
Sappiamo che c'è stata una serie di aggiornamenti o approfondimenti riguardo agli studi clinici presentati a Monaco,
come lo studio REVERSE, relativo alla CRT e agli esiti dopo 5 anni, lo studio SHIFT sull'ospedalizzazione per l'insufficienza cardiaca,
e lo studio ALDO-DHF, sull'uso degli antagonisti del recettore dell'aldosterone nell'insufficienza cardiaca diastolica.
Questi studi ci hanno fornito nuove informazioni importanti, ma soprattutto hanno determinato degli aggiornamenti chiave delle linee guida.
Veniamo perciò ora a esaminarli più da vicino.
Credo che le tre principali nuove raccomandazioni terapeutiche presenti nelle linee guida del 2012 siano le seguenti:
un'indicazione allargata per gli antagonisti del recettore dei mineralocorticoidi.
La seconda nuova indicazione farmacologica riguarda un farmaco chiamato ivabradina.
Si tratta di un tipo di trattamento completamente nuovo per l'insufficienza cardiaca,
e noi crediamo che sia indicato per i pazienti che, nonostante una terapia convenzionale completa, continuano ad accusare sintomi
e a presentare una frequenza cardiaca di almeno 70 pulsazioni al minuto.
Il terzo importante sviluppo terapeutico, che può avere effetto su molti pazienti con insufficienza cardiaca,
è un'indicazione allargata per la terapia di risincronizzazione cardiaca.
Allora, Christophe, abbiamo sentito menzionare questa indicazione allargata per la terapia di risincronizzazione cardiaca. In che cosa consiste?
Quali sono gli elementi chiave che sono stati inclusi nelle linee guida?
Credo che, per la prima volta nelle linee guida europee, la CRT viene ritenuta indicata non solo in base alla durata del QRS,
ma anche riguardo al tipo di disturbi di conduzione. Nei pazienti con QRS superiore a 120 millisecondi e presenza di blocco di branca sinistro,
classe 3 e 4 o 2, questa terapia è associata a un'indicazione di classe I.
Invece, nei pazienti con QRS più ampio, cioè di oltre 150 millisecondi, ma senza blocco di branca sinistro,
e ciò significa pazienti con blocco di branca destro o disturbi della conduzione intraventricolare, la CRT è associata a un'indicazione di tipo IIA.
Perciò, per la prima volta, la presenza di un blocco di branca sinistro rappresenta un fattore importante per l'utilizzo della CRT.
D'accordo. Ora passiamo alla questione dell'insufficienza cardiaca con funzione sistolica preservata:
ancora nessuno studio che modifichi gli esiti?
Direi proprio che si tratta del parente povero dei trattamenti per l'insufficienza cardiaca. Infatti, abbiamo molti pazienti, circa il 50%,
che presentano insufficienza cardiaca con funzione sistolica preservata, ma finora non abbiamo prove dell'efficacia del nostro trattamento.
Tuttavia, abbiamo due risultati promettenti:
uno con l'antialdosterone e l'altro con un nuovo farmaco, la neprilisina, un antagonista del recettore dell'angiotensina.
È stato cioè dimostrato che questi due farmaci riducono il proBNP nei pazienti con frazione di eiezione preservata.
Non si tratta di un endpoint difficile, ma considero questo studio molto promettente,
e siamo in attesa di altri studi in questo campo.
Abbiamo anche sentito parlare di alcune nuove tecniche di valutazione e di immaginografia nei pazienti con funzione sistolica preservata.
Pensi che avranno un ruolo importante, Jeroen?
Allora, in queste linee guida sull'insufficienza cardiaca è stato evidenziato specificamente
che l'ecocardiografia avanzata sta iniziando a svolgere un suo ruolo,
e l'importanza del Doppler tissutale è ormai ampiamente riconosciuta.
Perciò credo che questo campo stia attualmente utilizzando le tecnologie più sofisticate,
non solo sul versante specifico relativo alla valutazione della funzione diastolica,
ma anche per la valutazione avanzata dei pazienti con insufficienza cardiaca in generale.
Basti pensare anche alla crescente accettazione e integrazione della risonanza magnetica fra i metodi diagnostici.
Quindi credo che sia proprio il momento dell'immaginografia più sofisticata.
Così potremo identificare meglio i pazienti, e quindi pensare a come curarli.
Esatto, perché l'identificazione è solo la fase iniziale, ma finché non saranno disponibili delle terapie efficaci, essa rimane l'aspetto più importante.
Veniamo ora all'argomento successivo, Barbara.
Sì, da qualche tempo i pazienti con coronaropatia stabile vanificano gli sforzi dei cardiologi interventisti,
e forse i risultati dello studio FAME II, presentati al congresso ESC,
cambieranno questa situazione, come vedremo tra un minuto. Ci occuperemo inoltre dei nuovi sviluppi nell'uso di tecniche non invasive come la TAC,
per la valutazione sia dell'anatomia che della perfusione coronarica.
Nello studio FAME II sono stati arruolati 1.220 pazienti con CAD stabile e in attesa di procedura PCI con DES di 1, 2 o 3 vasi.
È stata misurata la riserva di flusso frazionale in tutte le lesioni bersaglio.
Se la stenosi rivelata dalla FFR era significativa, i pazienti venivano randomizzati per la PCI più terapia medica o per la sola terapia medica.
Se il risultato dell'esame FFR non era significativo, i pazienti venivano assegnati a un registro parallelo basato esclusivamente su una terapia medica.
I pazienti senza lesioni ischemiche seguiti con terapia medica presentano condizioni ottime,
con circa il 3% di eventi legati all'endpoint primario.
Se ci concentriamo sui pazienti con lesioni ischemiche,
nei pazienti randomizzati per ricevere la sola terapia medica
osserviamo un aumento statisticamente significativo degli eventi di endpoint, e questa differenza aumenta nel corso del tempo.
Riguardo invece ai pazienti randomizzati per ricevere PCI più terapia medica,
la loro percentuale di eventi è quasi sovrapponibile a quella osservata nei pazienti del registro.
Lo studio CORE 320 ha valutato la possibilità di rilevamento non invasivo di una stenosi limitante il flusso,
confrontando un'angiografia TAC a 320 strati, seguita da una TAC perfusionale,
con un'angiografia invasiva classica seguita da una SPECT in 381 pazienti indirizzati a una cateterizzazione coronarica.
L'impatto principale dello studio sarà definire, in modo non invasivo, chi dovrà essere sottoposto a rivascolarizzazione.
Abbiamo infatti mostrato che la combinazione di CTA e CTP (cioè angiografia TAC e TAC perfusionale),
come pure la combinazione di angiografia invasiva e SPECT,
potrebbe individuare i pazienti per i quali sarà necessaria la rivascolarizzazione dopo 30 giorni.
Riguardo allo studio FAME, la questione principale è:
possiamo perfezionare la gestione dei pazienti con coronaropatia stabile intervenendo sui vasi positivi alla FFR?
Sotto questo aspetto, quale pensate che sia il vero apporto dello studio FAME?
Sappiamo qualcosa di più sugli esiti di questi pazienti oppure dovremo forse accettare che la rivascolarizzazione è un buon esito?
Credo che ciò che osserviamo in questo studio non sia che una conferma di quanto già sappiamo,
e cioè che i pazienti che presentano una stenosi significativa,
ome emerge chiaramente dalla misurazione FFR,
ottengono dall'intervento un beneficio che si traduce nella riduzione degli interventi ricorrenti.
Non abbiamo chiare prove che ciò possa consentire una riduzione degli endpoint clinici più difficili.
Tuttavia, i pazienti lamentano meno problemi, e per me questo studio conferma semplicemente ciò che abbiamo già visto finora.
Porterà quindi un cambiamento della nostra pratica?
Utilizziamo già la FFR in molti dei nostri pazienti assegnati al laboratorio di cateterismo e con lesioni "borderline", specialmente con malattia multivasale.
Come Kurt, credo che questo studio confermi che si tratta di una buona strategia.
Bisogna anche considerare che questi pazienti sono stazionari: non possiamo aspettarci di poter salvare delle vite in questo gruppo.
Si può forse criticare l'endpoint della rivascolarizzazione, sebbene questo sia un criterio soggettivo, dato che lo studio è in aperto.
Tuttavia, non vedrei proprio un modo migliore per svolgere questo studio, e credo che si tratti di un buon studio.
Ora sorge una domanda che sembra fatta apposta per te, Jeroen: dopo ciò che sappiamo dallo studio FAME II e dopo questi risultati,
dobbiamo mandare al laboratorio di cateterismo tutti i pazienti con coronaropatia stabile oppure c'è qualcos'altro che possiamo fare in fase preliminare?
Certo, si tratta naturalmente di un problema molto importante.
Credo che tutti, ormai, condividano il fatto che dobbiamo iniziare a lavorare sulla probabilità pre-test di coronaropatia,
e che ora sia proprio questo il nostro obiettivo principale.
Su questa base, potremo distinguere tra diversi scenari. Il primo scenario riguarda i pazienti che presentano una probabilità pre-test molto bassa:
questi pazienti, probabilmente, non hanno bisogno di nulla, né di esami invasivi né di quelli non invasivi.
Quindi abbiamo i pazienti con una probabilità pre-test molto alta, e cioè con sintomi e contesti molto chiari.
Con molta probabilità, questi pazienti verranno indirizzati direttamente al laboratorio di cateterismo. Al massimo, si può discutere se, con questi pazienti,
sia il caso di effettuare prima l'esame FFR e quindi passare a ulteriori trattamenti,
ma senza dubbio questi pazienti verranno indirizzati direttamente a una valutazione invasiva.
Il gruppo più ampio comprende i pazienti che si trovano "a metà strada",
quelli che presentano cioè la cosiddetta "probabilità pre-test intermedia". Credo che,
quasi sicuramente, in futuro questi pazienti verranno suddivisi a loro volta in due gruppi.
Il primo corrisponde al versante inferiore del gruppo di probabilità pre-test intermedia,
con pazienti che verranno valutati soprattutto in modo non invasivo per poter rilevare o escludere l'aterosclerosi.
Il medico potrà anche indicare una probabile assenza di ischemia,
ma ciò che avrà bisogno di sapere è se ci sia o meno aterosclerosi.
E a questo scopo svolgerà un esame anatomico,
che sarà probabilmente un'angiografia TAC per la ricerca dell'aterosclerosi.
Quindi abbiamo l'altro versante, cioè la parte superiore del gruppo di probabilità pre-test intermedia.
Di questi pazienti, probabilmente, occorrerà sapere se è presente un'ischemia.
In questo gruppo di pazienti si utilizzerà allora la prova di sforzo,
oppure un esame diagnostico per immagini, come l'ecografia, la risonanza magnetica o forse,
in futuro, anche una TAC, ad esempio una FFR TAC o una TAC perfusionale, come è stato dimostrato in questo stesso studio CORE 320.
Sembra, comunque, che rimanga un margine molto ampio per la valutazione del medico.
Non c'è dubbio, e ciò che è più difficile è capire in quali criteri può rientrare ciascun paziente: questa è la più grande sfida che dobbiamo affrontare.
Credo però che, se si condivide il concetto di valutazione pre-test dei pazienti, sarà possibile suddividerli più facilmente in diversi gruppi,
in base ai quali decidere poi se svolgere un esame non invasivo, indirizzare il paziente a una procedura invasiva o non fare nulla di tutto questo.
D'accordo, questi grandi gruppi sono davvero molto utili.
Ma consideriamo, ad esempio, il gruppo dei pazienti con un'alta probabilità pre-test, chiari sintomi di angina,
magari provocati dalla prova di sforzo, e presenza accertata di ischemia.
Supponiamo che vengano portati in laboratorio e che presentino una stenosi del 95% di un singolo vaso.
Ora mi chiedo, in questi laboratori, che utilizzano spesso la FFR, svolgereste la FFR in questi pazienti? Steen?
Non in questi pazienti, Keith. In questo caso si effettuerebbe una PCI
o persino un intervento chirurgico, se questa fosse l'ultima possibilità.
Nei casi lampanti, non svolgiamo una FFR, che però è molto utile in presenza di una lesione "borderline",
a volte anche quando ci sono lesioni in più vasi: allora trovo la FFR davvero molto utile.
D'accordo, e per ritornare allo studio FAME I originale,
come sappiamo, questo studio è stato molto utile nell'identificare delle lesioni che erano sfuggite al test FFR
e che avrebbero potuto essere individuate con una semplice interpretazione visiva.
Sei d'accordo, Kurt?
Assolutamente.
Ricardo, hai domande da parte del pubblico?
Sì, stiamo ricevendo delle domande, alcune delle quali molto simili tra loro.
Almeno due, una dal Sudafrica e una dalla Spagna, riguardano lo stesso argomento,
cioè il rapporto tra lo studio FAME II e lo studio COURAGE.
Chiedono se questi due studi si contraddicano o si completino a vicenda, e c'è persino chi vorrebbe sapere quale dei due sia il "vincitore"...
D'accordo, allora FAME II e COURAGE, disegni molto diversi. Chi può riassumere la questione in poche parole? Steen, Kurt?
Certo, credo che un paragone sia molto difficile, come hai già detto.
La differenza è notevole, e credo che
occorra ricordare che la FFR è uno strumento presente nel laboratorio di cateterismo e che si tratta di pazienti già sottoposti ad angiografia.
Perciò, si tratta di una situazione molto diversa rispetto allo studio COURAGE.
Secondo me, in ultima analisi, questa domanda troverà una vera risposta solo in futuro. Infatti, è appena iniziato un grande studio, cioè lo studio Ischemia,
che comprende anche la FFR come metodo diagnostico. Perciò, credo che a breve,
forse fra due o tre anni, saremo veramente in grado di rispondere a questa domanda.
Al momento si tratta di questioni leggermente diverse, ma conserviamo questo spazio di discussione per lo studio Ischemia nel prossimo futuro.
Bene, ora credo che sia il caso di andare avanti.
Il nostro argomento successivo riguarda la contropulsazione con pallone intra-aortico,
che è stata ampiamente utilizzata nell'infarto miocardico acuto, specialmente complicato da shock cardiogeno.
Nelle linee guida internazionali, questa procedura è stata associata a una raccomandazione di classe I, nonostante le scarse evidenze disponibili.
Quindi, i risultati dello studio IABP Shock II, presentati a Monaco, cambieranno in parte questa situazione, come vedremo tra poco.
Ma, ancor prima, ci occuperemo dell'aggiornamento delle linee guida relative all'infarto con sopraslivellamento del tratto ST,
di cui ci parlerà Gabriel STEG nel filmato che sta per partire.
Le ultime novità che vorrei riassumere per la comunità interventistica sono le reti di assistenza coordinate,
con protocolli scritti approvati da tutte le parti in causa, e il grande sforzo per ridurre al minimo i tempi degli interventi,
con un obiettivo prefissato di 60 minuti per la PCI primaria, in ospedali predisposti per questa procedura.
Gli interventisti saranno poi rassicurati dal fatto che abbiamo incluso nelle nuove linee guida gli stent a eluizione di farmaco, l'approccio radiale
e tutti i farmaci "emergenti", basati sui nuovi agenti antipiastrinici e anticoagulanti.
Per i medici di base e i cardiologi ambulatoriali, vorrei ricordare l'aspetto della prevenzione secondaria a lungo termine.
A questo proposito, le nuove linee guida hanno incluso le evidenze della doppia terapia antipiastrinica per un anno.
Hanno inoltre ammesso la necessità di abbreviare a un mese la terapia con gli stent metallici nudi ed a 6 mesi quella con gli stent a eluizione di farmaco.
Abbiamo inoltre sottolineato l'importanza della riabilitazione,
dell'interruzione del fumo e di una gestione aggressiva dei lipidi,
con l'uso delle statine fin dal primo giorno e con un livello target di LDL inferiore a 70 mg per decilitro.
IABP-Shock II è uno studio multicentrico svolto in Germania, nel quale i pazienti con infarto miocardico acuto, complicato da shock cardiogeno,
sono stati randomizzati per la contropulsazione con pallone intra-aortico o per il gruppo di controllo.
Con i suoi 600 pazienti, questo è il più grande studio clinico randomizzato finora effettuato sullo shock cardiogeno.
L'endpoint primario dello studio, che non siamo riusciti a dimostrare, riguardava la nostra ipotesi per cui la pompa intra-aortica
con pallone poteva ridurre la mortalità, che è stata del 39,7% nel gruppo della pompa intra-aortica con pallone e del 41,3% nel gruppo di controllo.
La cosa più importante è che dobbiamo garantire la rivascolarizzazione ai nostri pazienti il più rapidamente possibile.
Sappiamo che l'intervento percutaneo primario dovrebbe essere il metodo di elezione,
e noi saremo in grado di assicurarlo ai pazienti entro i tempi previsti solo attraverso un'ottima organizzazione,
da svolgere, secondo me, attraverso una rete.
Questo aspetto è estremamente importante, e per la prima volta è stato indicato con una raccomandazione di tipo IA nelle nuove linee guida per lo STEMI.
Reti di assistenza, quindi, e il tuo gruppo, come anche altri, ha molta esperienza nell'organizzazione di queste reti, che comunque non è facile.
È relativamente difficile organizzare queste reti, che però alla fine funzionano.
Ciò che è più importante è che consentono veramente di ridurre sia la mortalità ospedaliera
che quella a lungo termine entro un anno, come ci confermano gli ottimi dati provenienti da diversi centri.
Il problema delle reti è
molto difficile limitare a soli 60 minuti il tempo che separa la diagnosi del primo contatto medico dall'intervento successivo.
Ciò non è possibile neppure nelle reti in cui i tempi di trasferimento sono relativamente brevi,
ma è un obiettivo che dobbiamo raggiungere assolutamente, soprattutto nei casi in cui l'infarto si è appena verificato.
Non appena stabiliamo che il paziente può essere trattato nel laboratorio di cateterismo entro due ore,
dobbiamo indirizzare il paziente alla PCI primaria.
Solo se ciò non fosse possibile, dovremmo considerare altri metodi di riperfusione, ma è importante che tutto avvenga con la massima rapidità.
Non dobbiamo accontentarci di due ore, ma dobbiamo davvero puntare ai 60 minuti attualmente consigliati.
E sia tu che gli altri avete sottolineato l'importanza di un approccio integrato,
grazie al quale il paziente non sia costretto a delle soste inutili, che ovviamente dilaterebbero i tempi in modo eccessivo.
È di estrema importanza che,
non appena il paziente è stato indirizzato al laboratorio di cateterismo, venga evitata qualsiasi sosta al pronto soccorso o in altri ospedali.
Il paziente deve essere portato subito al laboratorio di cateterismo di un ospedale predisposto per la PCI: questa è la cosa più importante.
Questo è certamente un punto importante nella gestione della pratica clinica.
Ora, come abbiamo visto, uno degli altri aspetti evidenziati da Gabriel STEG riguardo alle linee guida
è il fatto che la prevenzione non deve limitarsi alla fase acuta,
ma che esiste anche la prevenzione secondaria. E questo settore lascia ancora un po' a desiderare. Vero Helmut?
Sì, è vero. Molti pazienti si sentono guariti dopo che la stenosi è stata eliminata,
e questo è un grosso errore. Ecco perché la persistenza della prevenzione secondaria è molto bassa.
Gli studi EuroAspire I, II e III hanno evidenziato che il controllo dei fattori di rischio è inferiore a quanto sarebbe auspicabile,
e che inizia a diminuire dopo 6 mesi.
Dopo questo tempo, si verifica una riduzione anche nell'uso dei farmaci: solo il 50% dei pazienti continua ad assumere la dose iniziale di statine,
e allo stesso modo diminuiscono gli agenti inibitori delle piastrine. Si tratta davvero di un grande problema.
La riabilitazione cardiaca è una raccomandazione di classe I. È una buona notizia apprendere
a questo interventista che abbia fissato degli obiettivi molto rigorosi per l'LDL,
e che questo sia anche un nuovo sviluppo delle linee guida sulla prevenzione.
Mi riferisco, cioè, all'indicazione di un LDL target sotto i 70 mg per decilitro o 1,8 mmol per litro per tutti i pazienti con coronaropatia.
Si tratta allora di un obiettivo da perseguire con decisione?
Sì, con la massima decisione, e determinerà anche un cambiamento sostanziale nella gestione dei lipidi.
Senza dimenticare l'interruzione del fumo...
Naturalmente, l'interruzione del fumo è uno dei messaggi più importanti e una delle cose più importanti che possiamo fare per migliorare la prognosi.
Sappiamo, infatti, che il fumo supera tutti gli altri fattori per quanto riguarda il danno provocato al paziente.
D'accordo, un messaggio molto importante, allora...
Ricordiamo ora che questo congresso ha dato spazio a una serie di presentazioni sul tema della TAVI.
Sono stati proposti diversi approfondimenti sia sugli esiti a lungo termine che sulle più efficaci tecniche diagnostiche per immagini
e sui migliori metodi di valutazione dei pazienti sottoposti a TAVI.
Chi vuole iniziare sull'argomento? Cosa ci dicono i registri sulla TAVI?
Uno dei più grandi registri presentati al congresso è il registro GARY, realizzato in Germania. Qui, diverse migliaia di pazienti sono stati suddivisi in vari gruppi,
comprendenti, ad esempio, i pazienti indirizzati all'intervento chirurgico, sia semplice che con CABG,
o i pazienti assegnati alla TAVI transfemorale o transapicale.
L'aspetto interessante, sebbene, finora, relativo a un parametro molto specifico,
è il fatto che la mortalità ospedaliera sia molto simile tra i diversi gruppi.
Ciò avviene nonostante i pazienti che ricevono la TAVI presentino le condizioni peggiori,
i maggiori fattori di rischio e l'età più avanzata. Anche le complicazioni periprocedurali sono comparabili tra i vari gruppi. Un dato, quindi, davvero singolare.
Ma comunque si tratta ancora di un registro, e ciò di cui avremmo veramente bisogno sono, innanzitutto, gli esiti a lungo termine di questa nuova strategia,
e quindi l'apporto di studi prospettici randomizzati.
Credo, comunque, che possiamo essere ottimisti su questo metodo, sia pure continuando ad osservare gli studi attualmente in corso.
Abbiamo perciò bisogno di dati consistenti sugli esiti a lungo termine per poter cambiare la pratica.
Inoltre, sono state manifestate delle perplessità sull'indicazione più bassa suggerita ad alcuni soggetti,
che potevano essere idonei per l'intervento chirurgico mentre sono stati indirizzati alla TAVI.
Cosa ha suggerito in proposito l'équipe del cuore nelle linee guida?
E quindi, Steen, quale dovrebbe essere la nostra linea?
Credo sia molto importante che discutiamo i casi come questi con i nostri chirurghi, e naturalmente nei nostri ospedali.
Devo dire che, nel nostro paese, la regola generale prevede ancora che, se il paziente può subire l'intervento chirurgico,
questa debba essere l'opzione da preferire,
che coincide anche con i suggerimenti delle linee guida.
E non dimentichiamo che la raccomandazione attuale per la TAVI è IB,
per i pazienti non idonei all'intervento chirurgico e con un'aspettativa di vita superiore a un anno: l'indicazione, quindi, è ancora invariata.
Certo, è molto importante sottolineare questo aspetto.
Bene, ci sono finora domande da parte del pubblico su questi argomenti?
Sì, ci sono domande, ne stiamo ricevendo molte, specialmente riguardo agli studi Shock. Mi dispiace ritornare su questo argomento,
ma molti chiedono un messaggio chiaro al riguardo. C'è anche un'altra domanda dalla Germania e cioè,
se è probabile che ci siano stati benefici in singoli pazienti, come alcuni sostengono, si può supporre che ci sia stato un difetto di selezione in questo studio?
D'accordo, allora, contropulsazione con pallone intra-aortico, studio Shock.
Rivolgo la domanda a tutto il gruppo: esistono i presupposti per cambiare la nostra pratica riguardo a questa procedura? Christophe?
Personalmente credo di sì, e concordo con Steen. Secondo me questo studio è stato ben condotto, e non ci vedo nessun difetto nella selezione dei pazienti.
Come accennato prima, nei casi in cui lo riteniamo necessario, inseriamo un palloncino,
ma oggi abbiamo le prove che ciò non porta a nessun cambiamento nella prognosi del paziente.
Credo, quindi, che il messaggio sia chiaro: forse dobbiamo pensare ad altre tecnologie,
come l'ECMO o simili, da utilizzare più rapidamente e in pazienti selezionati.
Qualcuno la pensa in modo diverso?
Credo che sia proprio questo il punto al quale stavamo arrivando. Se gli studi vengono svolti in modo corretto e ci forniscono le prove che cerchiamo,
questi dati, presto o tardi, verranno implementati nelle linee guida. Infatti, il criterio è molto semplice:
ci servono gli studi e gli esiti, gli esiti evidenziano determinati aspetti che, di conseguenza, vengono acquisiti nelle linee guida.
Credo che, purtroppo, il nostro tempo stia per terminare. Passiamo perciò al nostro ultimo argomento.
L'ultimo argomento, ma certo non il meno importante, è la prevenzione. Ci occuperemo innanzitutto del terremoto del Giappone.
L'11 marzo 2011, un terremoto e uno tsunami hanno colpito le coste nord-orientali del Giappone,
provocando 16.000 vittime. Ma purtroppo non era ancora tutto,
perché queste calamità hanno avuto uno strascico in un incremento del rischio di ictus coronarici ed ischemici,
che discuteremo qui analizzandone i possibili motivi.
Successivamente, il Dott. PERK ci riassumerà brevemente le nuove linee guida sulla prevenzione.
Nello studio Great East Japan Earthquake Disaster and Cardiovascular Diseases,
è stata esaminata la documentazione di tutti i trasporti in ambulanza effettuati nella prefettura di Miyagi,
sia 4 settimane prima che 16 settimane dopo il terremoto.
Abbiamo individuato tre diversi schemi temporali nell'aumento delle patologie:
primo luogo, l'incidenza di insufficienza cardiaca e polmonite aumentava significativamente
e rimaneva stabile, per poi ritornare solo gradualmente al livello precedente
Il secondo schema è stato riscontrato per gli ictus, la CPA e gli arresti cardiopolmonari, che aumentavano e diminuivano rapidamente,
e, cosa molto interessante, raggiungevano un secondo picco in risposta alla più forte scossa di assestamento.
Il terzo schema è stato individuato per la sindrome coronarica acuta, che pure registrava un rapido aumento e un'altrettanto rapida diminuzione.
Dopo tre mesi l'incidenza era significativamente più bassa a rispetto ai tre anni precedenti,
facendo ritenere che lo sviluppo della patologia potrebbe essere stato accelerato dalla situazione di calamità.
Possiamo distinguere quattro livelli di rischio cardiovascolare.
I gruppi ad alto e altissimo rischio sono importanti perché, in molti studi,
stiamo osservando che questi pazienti di tutta Europa non ricevono le vere e proprie cure preventive che meriterebbero.
Nelle nostre linee guida diamo un particolare risalto allo stile di vita e ai fattori comportamentali.
Lo stile di vita è importante quanto e forse più dei farmaci.
Gran parte della prevenzione dipende dall'impegno del mondo politico.
Quindi, noi chiediamo ai nostri colleghi: alzate la voce, contattate i politici, lavorate con chi prende le decisioni
per fare in modo che crei una società in cui non dobbiamo più soffrire di malattie non necessarie.
Come sappiamo, in Giappone, subito dopo il terremoto, si è verificato un aumento dell'incidenza di ictus ischemico, insufficienza cardiaca e polmonite.
Molti possono essere i motivi di questi eventi, che sono stati registrati in situazioni simili anche in passato.
Volete commentare le possibili cause?
Forse sottovalutiamo lo stress come fattore di rischio
o dobbiamo ricercare altri fattori, come l'indisponibilità dei medicinali, il freddo, le infezioni o altro ancora?
Naturalmente, si tratta di una situazione molto complessa, in cui anche la disponibilità dei farmaci era limitata.
Ma la peculiarità di questa situazione comprendeva due scosse e due episodi di stress, a breve distanza gli uni dagli altri.
Perciò, gli eventi coronarici acuti sono aumentati con la prima scossa, ma non con la seconda,
mentre gli eventi di ictus, ad esempio, sono aumentati sia con la prima che con la seconda scossa,
probabilmente in seguito all'innalzamento della pressione arteriosa associato alle scosse.
Riguardo invece alla sindrome coronarica acuta, probabilmente le placche instabili si sono rotte,
e, quando è sopraggiunta la seconda scossa, erano già tutte consumate, per cui non c'erano più placche instabili.
Questa, almeno, è una delle possibili spiegazioni.
Allo stesso modo, l'arresto cardiopolmonare, che, naturalmente, è pure correlato alle catecolamine,
probabilmente deriva da alterazioni del ritmo cardiaco,
che possono essere indotte da alti livelli di catecolamine, insieme all'aumento della pressione arteriosa.
La polmonite è poi logicamente spiegabile in questo contesto, considerando il periodo freddo dell'anno,
le persone senza casa, senza elettricità né riscaldamento, molte delle quali sono anche rimaste con gli abiti bagnati per diverso tempo.
Perciò è molto probabile che la polmonite possa verificarsi in queste circostanze.
Sembra davvero una situazione da incubo per la concomitanza della coronaropatia con altre situazioni, come infiammazione, assenza di farmaci,
stress ed alta pressione arteriosa. Ci sono messaggi che potrebbero essere utili per la nostra prevenzione?
Allora, lo stress è un fattore importante, come tutti sappiamo, sebbene forme di stress così esasperate siano molto rare nella vita quotidiana in Europa.
Credo che un episodio simile, uno solo, si sia verificato con i fatti dell'11 settembre negli Stati Uniti.
In quell'occasione, anche alcune persone che guardavano la TV in Florida
hanno evidenziato una maggiore incidenza di tachicardia ventricolare nel loro ICD,
quando questo veniva monitorato.
Perciò, il coinvolgimento emotivo e lo stato di ansia associati a queste situazioni provocano disturbi del ritmo cardiaco, come peraltro è ampiamente accertato.
Ciò che mi interessa in modo particolare di questi dati,
e che non so se sia stato approfondito, è quale sia la percentuale di sindromi di Tako Tsubo in questi pazienti.
In genere, nella nostra popolazione è inferiore al 10% se sopraggiunge un infarto.
Sarebbe però molto interessante verificare se questa percentuale è molto più alta nel caso del Giappone, e spero che otterremo presto dei dati al riguardo
Certo: trattandosi di stress estremo, c'è da aspettarsi logicamente una cifra più alta.
L'altro aspetto è la combattività con la quale il dottor Perk propugna la prevenzione,
invitandoci a fare pressione sui nostri governi e a cambiarne la politica.
E a questo proposito, tra le molte buone notizie comunicate al congresso, c'è purtroppo una brutta notizia che riguarda il fumo:
attualmente, in Francia, il fumo è associato a un raddoppiamento dell'incidenza dell'infarto miocardico
nelle donne di età inferiore ai 55 anni.
Si tratta perciò di un grosso problema di salute pubblica.
In che modo pensate di rivolgervi alle giovani donne per dissuaderle dall'iniziare a fumare?
Proprio la Francia ha rappresentato un modello per la prevenzione in Europa, e ha raggiunto ottimi risultati nell'implementazione di divieti contro il fumo.
Un divieto è sicuramente molto importante, ma è più adatto a proteggere i non fumatori.
Dobbiamo perciò pensare ad altre misure che possano ridurre il fumo, come i pacchetti anonimi,
da poco inaugurati in Australia, nonostante l'accanita resistenza dei produttori di tabacco, oppure le foto che mostrano le terribili conseguenze del fumo,
utilizzate in Canada con grande successo.
Naturalmente, non si è trattato di uno studio randomizzato, ma dopo l'introduzione di queste foto l'uso del fumo in Canada è calato drasticamente.
Credo perciò che si tratti di una strada che possiamo percorrere anche in Europa.
Alcuni esperti ci stanno già lavorando, ma ancora una volta si incontra la forte resistenza delle industrie del tabacco.
I giovani non hanno paura di morire: dobbiamo trovare qualcos'altro per tenerli lontani dal fumo.
Dunque, abbiamo appena sentito parlare di questa disastrosa impennata delle catecolamine, dell'ansia e di tutti i fattori legati al terremoto.
Christophe, se tu fossi un esperto che dovesse annunciare l'arrivo di uno tsunami,
credi che la gente dovrebbe assumere i beta-bloccanti?
Personalmente, credo che li prenderei anch'io, senza dubbio...
Lo farei perché sappiamo che le catecolamine sono un fattore di rischio per l'aritmia ventricolare, e credo che,
in un simile contesto, si verifichi di solito un drastico incremento delle catecolamine
Quindi credo che i beta-bloccanti favorirebbero la prevenzione.
Naturalmente, però, credo anche che non avremo mai una risposta precisa se non verrà effettuato uno studio clinico.
Dunque, una tragedia colossale in Giappone, come tutti i sappiamo.
Tuttavia, ci ha potuto insegnare qualcosa, e questo è molto importante.
In ogni caso, credo che sia sempre preferibile effettuare un pre-test per escludere la bassa pressione arteriosa prima di correre con i beta-bloccanti.
Infatti, a volte alcune persone non sanno di avere una pressione arteriosa molto bassa quando tentano di correre con i beta-bloccanti.
Perciò è necessario effettuare un pre-test.
Giusto. Ci avviamo ora alla conclusione di questo programma,
ma prima vorrei chiedere a ciascun componente del nostro gruppo un messaggio finale su quello che sarà il suo orientamento clinico.
Vorrei cominciare da te, Jeroen. Qual è il tuo messaggio per i colleghi?
Credo che, come abbiamo visto in questo congresso, le linee guida si evolvano in modo estremamente rapido, implementando nuove evidenze e,
allo stesso tempo, mantenendo un equilibrio con ciò che si basa su semplici informazioni, e che a volte richiede un aggiornamento.
Un'altra cosa che sento di poter dire riguarda un aspetto molto importante,
sul quale vorrei basare il mio messaggio per i colleghi, e cioè la gestione della coronaropatia,
specialmente la scelta tra la valutazione invasiva e quella non invasiva.
Credo, infatti, che, come confermano prove crescenti,
la valutazione dell'ischemia stia diventando sempre più importante nella gestione della coronaropatia.
Bene, grazie mille. E tu, Helmut?
Ci sono due cose che vorrei sottolineare. Ancora una volta, abbiamo visto che un aumento del fumo accresce il rischio di infarto del miocardio,
specialmente nelle donne giovani. Per di più, in Francia, l'età media della popolazione con infarto del miocardio è diminuita nel relativo registro.
In secondo luogo, nella prevenzione secondaria, il valore LDL target per tutti i pazienti con coronaropatia è stato fissato a meno di 70 mg/dl.
Si tratta di un elemento nuovo, che rappresenta finora un obiettivo facoltativo.
Tuttavia, una quantità sempre maggiore di prove conferma
che tale valore assicurerà ai pazienti ulteriori benefici rispetto al valore target precedente, inferiore a 100 mg/dl.
Non abbiamo affrontato il problema del diabete di tipo 2 e dell'obesità, che rimangono due grandi sfide.
Allora, anche il diabete di tipo 2, con i fattori di rischio e il danno organico,
viene classificato all'interno del gruppo ad altissimo rischio, e richiede un trattamento molto aggressivo.
Allora, Kurt, il tuo messaggio?
Un messaggio generale, non limitato soltanto alle sindromi coronariche acute:
credo che sia necessario leggere e implementare correttamente le linee guida per poter curare i pazienti in modo ottimale.
E potremmo ottenere di più effettuando anche un confronto tra alcune terapie, vero Steen?
Molto semplice. Come ho già detto, dovremmo impiantare meno pompe intra-aortiche con palloni nei nostri pazienti con STEMI e shock cardiogeno.
Due brevi messaggi per i colleghi:
il primo riguarda la fibrillazione atriale e il rischio di eventi embolici con l'uso consigliato dei nuovi anticoagulanti al posto del warfarin.
Il secondo messaggio riguarda la CRT: abbiamo dati importanti sulla lunga indagine condotta dallo studio REVERSE,
con una mortalità del solo 12% dopo 5 anni. Quindi, una buona efficacia nel ridurre la mortalità in questa popolazione.
Allora, il messaggio è che l'assegnazione alla CRT non dovrà avvenire troppo tardi,
ma dovrà essere effettuata non appena il paziente viene inserito nella classe II.
Ottimo. Siamo proprio in chiusura. Barbara, a te la conclusione del programma.
Non mi resta che ringraziarvi per la vostra partecipazione a questo programma e per il grande lavoro svolto.
Vorrei inoltre ringraziare lo staff dell'ESC per l'organizzazione di questo evento,
i nostri sponsor, Servier e AstraZeneca, per il loro finanziamento non vincolante,
e tutti voi del pubblico, per aver reso l'evento più vivace e interessante.
Lascio ora i saluti finali al nuovo presidente dell'ESC, il professor Panos Vardas.
Arrivederci da tutti noi.
A nome del direttivo dell'ESC, voglio ringraziarvi per la vostra partecipazione alla seconda edizione del "Meglio dell'ESC".
Spero che abbiate trovato questo programma importante per la vostra pratica clinica.
Stiamo già lavorando per darvi il nostro benvenuto ad Amsterdam il 31 agosto dell'anno prossimo.
Arrivederci ad Amsterdam.