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Kismaros: dalla clandestinità alla gioia della condivisione
Kismaros, Ungheria.
A 50 km da Budapest
sabato 7 maggio 2011
si sono festeggiati i vent’anni
dell’ambulatorio medico
del Monastero cistercense,
pochi passi dalla stazione.
Il dottor Gabor Fejerdy,
oblato della comunità cistercense,
guida l’equipe di terapeuti
composta da laici e
da suor Marty fisioterapista.
Ciò che penso, che mi tocca di più,
è che quello che cerchiamo
di dare, sono cose minime.
Sono piccole cose
nei rapporti umani;
ciò che tutti dovrebbero vivere
nelle relazioni interpersonali.
Un semplice sguardo,
dire a qualcuno
“prego si accomodi”
è semplice ma si
attraverso i gesti semplici
può donare molto di più.
Perché nel mondo oggi
le persone sono molto ripiegate
su se stesse e bastano piccole attenzioni
per far nascere
un rapporto con qualcuno
Questo è un posto per rilassarsi
se qualcuno ha differenti terapie
può riposarsi fra l'una
e l'altra.
O se qualcuno viene da lontano
può riposarsi prima di partire.
Posso dire che non diamo
cose straordinarie,
viviamo nella normalità, umanamente,
ma questo è già un regalo
per quelli che vengono da noi.
E da questi piccoli segni capiscono
che viviamo un rapporto
senza interessi personali.
Vogliamo aiutare gli altri,
vogliamo accoglierli ma
non abbiamo secondi fini dietro ai nostri gesti;
Diamo quello che siamo.
Con i nostri errori,
ma siccome lo facciamo con sincerità
e vedono che siamo sinceri,
questo fa nascere delle relazioni.
Una festa che la comunità
ha chiamato “giornata di azione di grazia”,
perché dopo vent’anni di esistenza
del dispensario medico
il sentimento che si respira
è quello della gratitudine vissuta nella fede.
Una fede che ha dovuto essere nascosta
per molti anni sotto il regime comunista.
Siccome la nostra comunità è nata negli anni 55,
quando cominciavano le persecuzioni,
all’inizio non era proprio
la vita di una comunità cistercense
ma si cercava di vivere secondo la
regola di San Benedetto
in quelle circostanze;
per questo abbiamo vissuto
molto profondamente la regola anche se
non conoscevamo bene le origini
della vita cistercense,
dei padri cistercensi.
Madre Agnes la fondatrice
della comunità,
diverse suore e padre Edmond,
padre spirituale della comunità cistercense,
hanno passato diversi anni in prigione.
La comunità ha dovuto vivere divisa
in città diverse nascondendosi
come le prime comunità della chiesa.
Abbiamo sofferto molto ma
abbiamo potuto guardare
indietro nella storia,
nella storia della chiesa,
la storia dei martiri.
Ad esempio quando la comunità
è nata si leggevano i testi
dei primi martiri
per preparare la nostra vita,
perché c’era la persecuzione
nel 55 quando è nata la comunità
e c’è un’analogia con i periodi
in cui la chiesa ha sofferto
le persecuzioni.
Questo ci ha aiutato molto.
E poi questo relativizza le cose,
perché non siamo
i soli a soffrire;
e se accettiamo questo,
cioè che la nostra vita è
“altro” a causa dell’”Altro”
con l’A maiuscola,
allora possiamo accettare la sofferenza.
Abbiamo sempre detto che
noi portiamo sulle spalle
il chiostro e dipende da noi,
come reagiamo e come viviamo,
se riusciamo a vivere in un clima
di preghiera anche se non siamo in un convento.
Dopo il secondo arresto
di Madre Agnes,
alla ricerca di un posto nascosto
per vivere in comunità,
fuori Budapest, città troppo pericolosa,
approdano all’inizio degli anni 70
a Kismaros e nel bosco costruiscono
una specie di capanna di legno.
Lo chiamiamo “il primo monastero”
E dentro si può dire che
ci fosse tutto:
c’era la chiesa fra virgolette,
una cameretta utilizzata come chiesa per pregare,
un dormitorio che si trasformava
in cucina e poi in refettorio,
cambiava continuamente
ma c’era tutto.
È molto piccola ma ci abitavano fino
10-12 persone per diversi giorni,
they tell how they slept in these conditions,
si racconta come si dormiva in quelle condizioni,
Si
Mi ricordo quando sono entrata
in comunità mi ricordo che
avevamo fatto l’adorazione,
in questa capanna nella cappella
e solo due persone potevano starci
ma anche tutti gli altri dietro alla parete
si sentivano “davanti” all’eucarestia.
E trovavo molto bello che anche se
non si poteva vedere attraverso i muri
era comunque un’adorazione,
perché la presenza di Cristo era più forte.
Essere insieme vuol dire essere protetti,
perché siamo molto più forti
quando siamo assieme.
Non è solo un luogo
che ci raggruppa ma
ci dà una forza spirituale
ma anche intellettuale,
perché non si può vivere
senza un senso della propria vita,
e questo ci dà forza e speranza.
E quando guardiamo
quella capanna facciamo memoria
del passato,
siamo fedeli al passato,
al presente e al futuro.
Il lavoro è molto importante,
non solo per vivere,
ovviamente anche quello,
ma soprattutto deve essere
in linea con gli obiettivi della nostra vita.
Ad esempio abbiamo
le api perché l’apicultura
iè un lavoro contemplativo.
Ma bisogna fare attenzione
a mantenere sempre un equilibrio tra lavoro,
liturgia e vita comune.
- mio papà era apicoltore -
Ah sì? Bene.
Qui sono suor Cristi e suor Kiscbury
Credo che il lavoro
per noi sia sempre una chiamata concreta
attraverso la quale si manifestano tutte
le dimensioni della nostra vita,
per questo il luogo di lavoro
è un incontro profondo con Dio
creatore e con il nostro prossimo,
fratelli e sorelle,
e anche con noi stessi
perché solo facendo delle cose
si vedono i propri limiti
e si coglie l’appello
ad accettare il Signore come salvatore.
Nella regola si dice
che nel monastero l’ospite
non può mai mancare.
È importante che la gente
possa ricevere,
e che anche noi possiamo vivere
la fraternità con le persone,,
con la gente intorno a noi.
Il lavoro principale di suor Marti
si svolge all’ambulatorio
con l’equipe di terapeuti
e con i pazienti
che vanno accolti prima di tutto
come persone e non come ammalati;
Ed è questo che
cambia completamente l’atmosfera
che si respira entrando
in quel luogo di cura molto speciale.
Lavoro con le persone
e credo di ricevere pace,
molta profondità,
anche nella gioia
di aiutare a guarire qualcuno,
ma anche nella sofferenza
di accompagnare chi
non può guarire.
Sono momenti molto profondi
per vivere assieme quelle situazioni
con quelle persone
e con Dio,
perché ci si sente accanto a qualcuno
con cui vivere il momento di crisi.
Noi siamo solo dei mediatori.
Aumenta la circolazione
e questo aumento fa migliorare
il quadro del problema
Abbiamo raccolto episodi
che ci hanno commosso
per la straordinaria carica umana
e la profondità dell’esperienza religiosa,
come quello di una donna che diceva
ad una amica “vai al dispensario
di Kismaros anche se non sei ammalata,
quando uscirai dalla sala d’aspetto
starai comunque meglio”.
Credo che il filo
finissimo sia l’amore.
Perché al fondo di ogni essere umano,
abbiamo bisogno di essere amati
e di amare.
È il filo finissimo
che tiene la nostra vita,
la vita personale come
quella comunitaria.
E quando siamo venuti a Kismaros
gli abitanti ci hanno visto perché
andavamo a fare la spesa,
e qualche volta abbiamo
salutato dicendo
Laudetur Jesus Christus.
E piano piano hanno capito
che eravamo suore.
Ed eravamo molto riconoscenti
verso gli abitanti
che non ci avevano denunciato
alle autorità correndo
dei rischi per noi.
E quando i tempi sono cambiati,
la situazione politica è cambiata,
abbiamo voluto ringraziare gli abitanti.
Ma quando si vuole ringraziare
bisogna farlo in modo
che si capisca,
in una lingua comprensibile.
E poi, è un secondo aspetto,
bisogna essere attenti
ai segni dei tempi.
Così le suore
aprono l’ambulatorio
di Kismaros nel 1991,
diversi anni prima della costruzione
del monastero,
per gratitudine verso il villaggio
ma anche sapendo cogliere
i segni sul loro cammino:
l’incontro col dottor Gabor
disponibile a lanciarsi
in un’avventura rischiando
la sua carriera professionale e il diploma
di fisioterapista di suor Marti.
È una grande ricchezza incontrare
e accettare l’altro per quello che è,
perché tutti portano in sé
grandi valori e grandi ricchezze,
e quando accogliamo la persona
nella sua totalità,
donando qualcosa
riceviamo in cambio molto di più.
Come al centro della vita c’è Cristo
e tutti ci stringiamo intorno a lui,
questo ci fa salire
verso il cielo,
così anche il tetto può reggersi.
Normalmente ci sarebbe voluto
un pilastro centrale ma abbiamo
invece scelto di salire
verso l’alto così;
noi siamo riuniti intorno a Cristo
e se uno solo manca
si perde l’equilibrio che
altrimenti si può vivere tutti insieme.
Perché nella comunità cistercense
la vita comune è molto importante,
è il luogo attraverso il quale
possiamo andare verso il Signore.
E con queste finestre vorremmo
rappresentare la trinità,
sono tre finestre
che evocano la trinità,
e la trinità è la comunione.
È un luogo di Lectio Divina da una parte;
vuol dire che è un luogo
di preghiera personale,
d’altra parte per vivere
una vita equilibrata bisogna
elaborare anche lo spirito.
E anche qui c’è un tetto
ma è diverso da quello
della chiesa,
ma anche qui è un luogo di preghiera,
e anche lo spirito e l’intelletto
devono essere sempre assieme in unità,
perché nella vita monastica
quello che conta moltissimo è di vivere l’unità,
l’unità di se stessi,
di ritrovare il fondamento di se stessi
Essere umani vuol dire essere liberi.
Non sono le circostanze
che spingono alla libertà,
ma il Signore che è libero,
totalmente libero.
La vera libertà è Dio.
E c’è una ragione,
come una chitarra che ha le corde
e la cassa.
Se si pizzicano le corde
c’è una risonanza.
E trovo che là ci sia
un grande desiderio di libertà.
E nel fondo del nostro
cuore umano c’è,
ed è la risonanza verso
qualcuno che è libero.
Le cose, gli oggetti, le possibilità,
non danno la vera libertà
perché molto presto
mi rendo conto che
ho colmato il mio desiderio
e poi ce n’è ancora uno,
voglio qualcosa
e poi ne voglio ancor di più,,
ho di più e
vorrei ancora di più.
Significa che c’è
questo anelito di infinito,
Trovo che chi vive
questo anelito di infinito
perché Dio è infinito,
l’infinito è infinito,
non ha inizio
e non ha tempo,
e se c’è una risonanza
umana si può trovare questa forma di vita.
Non sono le circostanze
che conducono la nostra vita,
è una chiamata,
è il desiderio al fondo del
nostro cuore di vivere liberi.