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La riflessione sul naturale e l’artificiale è al fondamento stesso del rapporto che Stropparo ha instaurato con la terra. Da sempre egli ne ha scelto e accolto i colori naturali, le qualità primarie d’una formatività capace di serrarsi in geometrie rigorose ed essenziali ma rimanendo aperta alle suggestioni dell’organico, capace d’aver pelle che si fa carezzare dalla luce oppure la riflette, orgogliosa della propria sostanza plastica. E da sempre è attratto dalla facoltà della terra di farsi, più che volume, disegno nello spazio, metrica e presenza modificante: come una soglia, un passaggio che si nutre d’umori simbolici, ma insieme si dà, qui, ben conficcato nell’orizzonte fisico.
Stropparo ha scelto, in questa occasione, un percorso punteggiato da porte, da architetture snudate e primarie che si ergono certe di se stesse e subito si moltiplicano, mobili, nel gioco delle ombre portate dal sole, insieme facendosi cornici visive di scorci del verde a loro volta continuamente diversi. Porte come transiti marcati di spazio, a cadenzare nel percorso la situazione d’altre figure:presenze dell’arte, rese vive e pulsanti da quel loro farsi solidali alla vita che le circonda.
La ciotola, si sa, è per l’artista della ceramica l’alfa e l’omega, il punto di ogni cominciamento e d’ogni approdo, la sagoma sorgiva e l’universo del possibile. È, accantonata convenzionalmente ogni implicazione pratica, una sorta di idea stessa della forma. Curva di corpo amato e di geometria, materia che sa d’organico e di sapere sorgivo della mano, la ciotola è intesa da Stropparo come il “vrai lieu” di tutti i suoi trascorrimenti visionari. Vi riflette della stessa sua configurazione formale primaria, la fa abitare dalle sue fantasticherie umorose in cui trovano luogo il gioco e l’esperimento fabrile, la volontà progettante e il puro estro dell’invenzione. Ciascuna d’esse rivendica uno sguardo, sviluppa una questione ed emana un aroma, avverti un prima e un dopo rispetto a ciò che vedi, percepisci la sprezzatura del ludus e la concentrazione del fare/pensare rimuginante tutto di Stropparo.
In questo ritorno felice e cospicuo di Stropparo alla pienezza dell’arte ceramica si avverte il buon sapore dell’orgoglio identitario dell’artefice. Il quale è ben cosciente, naturalmente, che nessuna esibizione talentuosa può surrogare l’arte, ma altrettanto bene sa che una delle ragioni di crisi della ricerca contemporanea è proprio la deriva della maestria, dell’identità disciplinare, della tecnica ascesa in sapienza.
Da questa affermazione forte e orgogliosa egli è ripartito. Il resto è ragionamento di scultura: questa scultura, qualità piena e schietta, sentore di grandezza.